E’ entrato a Gerusalemme e già sa che sulla sua tomba tra tre gioni scriveranno “Hic jacet”. Sente gli “Osanna” ma tra tre giorni sarà deriso, umiliato, ferito, frustrato e poi messo su una croce mentre la luce del primo sole spazza l’erba coperta di rugiada. Sente ancora gli “Osanna” ma sa già che il suo viaggio finirà dentro il sepolcro, dietro una pietra. A coprirlo solo un lenzuolo di lino. Alla Maddalena, alla peccatrice, l’angelo dice: “Non è qui”. Lei si interroga e lo faccio anch’io 2000 anni dopo. Davanti al mistero del sepolcro vuoto mi chiedo: cosa ci dice oggi la Pasqua? Cosa dice oggi la Pasqua all’uomo che vive sotto la spada di un virus, che subisce una guerra sacrilega, che avvelena i suoi pozzi, che inquina i suoi campi. Cosa dice oggi la Pasqua all’uomo infelice ?

Il sepolcro vuoto è  l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini. Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Il crocifisso fa parte della storia del mondo.  Il sepolcro vuoto è il simbolo del dolore umano e nello stesso tempo della speranza che si spande.  Il sudario evoca le sue sofferenze.  La pietra rotolata lontano  è il segno della vita che vince la morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.

Cosa chiedono oggi a quel lenzuolo di lino più di un miliardo di persone che credono in Cristo risorto. Ma soprattutto, cosa potrebbe dire a chi non condivide la fede e la speranza? Penso al Signore crocifisso e alle tante storie dei crocifissi di questa pandemia, medici, infermiere, morti al fronte come soldati. Penso a tutte le persone in difficoltà, a chi ha timore, a chi non sa come sfamare la famiglia, a chi teme per il lavoro, a chi piange in silenzio perché non vede il futuro. Penso a tutte le sofferenze personali o collettive che gravano sull’umanità, causate o dalla cattiveria o negligenza degli uomini che vivono così sotto il peso quotidiano di una diffusa sensazione di malessere, una fatica di vivere. È un atteggiamento che si traduce poi in un tirare avanti, un sopravvivere a se stessi piuttosto che affrontare la vita, pur, a volte, nei suoi risvolti di difficoltà, durezza, oscurità.

Il Crocifisso ha definito il significato della sua crocifissione come solidarietà con tutti i crocifissi della storia che, come lui, erano e sono vittime di violenza, di relazioni sociali ingiuste, d’odio, d’umiliazione dei piccoli e di rifiuto della proposta di un Regno di giustizia, fratellanza, compassione e amore incondizionato. Gesù gridò a grandi voce: “Eloì, Eloì, lamá sabacthani: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù è sull’orlo della disperazione. Dal vuoto abissale del suo spirito, esplodono domande spaventose. Fermi, increduli, davanti ad un sepolcro vuoto che celebra la Pasqua, la resurrezione, la redenzione dei peccati, mi vengono in mente le parole del Vangelo: Gesù risorto apparirà con i segni della passione per dire che la risurrezione non cancella la croce. Non cancellando la croce, non cancella nemmeno la sofferenza, il peccato, la malvagità e tutto quanto di negativo c’è attorno alla croce di Gesù. Perché? La risposta è importante: perché il Signore ci salva non buttando via niente di noi, ma trasformando tutto. Non cancella la sofferenza, ma le dà un senso; non cancella il peccato, ma lo rende occasione di perdono; non cancella la morte, ma la apre alla vita. Per questo allora la passione non è cancellata, non è messa tra parentesi dalla risurrezione. E questo ci dice che anche le nostre fatiche, le nostre sofferenze, persino i nostri peccati non sono realtà che il Signore cancella, ma che il Signore salva. Dobbiamo allora celebrare tutta intera la settimana santa. Non dobbiamo saltarla per arrivare subito a Pasqua, perché ci dice che non solo i giorni belli, i gesti di amore, le realtà positive sono salvate, ma tutta la nostra vita è salvata.