TERAMO – Vincenzo Di Marco, candidato consigliere nella lista ‘Abruzzo Insieme’ a sostegno del candidato presidente Luciano D’Amico alle elezioni regionali del 10 marzo, condivide il grido di allarme del segretario provinciale della Cgil di Teramo, Pancrazio Cordone, che nell’edizione odierna di un quotidiano, ha sottolineato le vertenze aperte nell’ultimo anno in ogni settore lavorativo. “L’allarme che lancia la Cgil teramana trova il suo fondamento nell’arretramento economico che c’è stato nella nostra provincia nel 2023 e di cui non se ne sono voluti cogliere i segnali da parte della politica regionale – sottolinea Vincenzo Di Marco -. Dalla necessaria ripresa del post Covid non si è riusciti e non si riesce ancora a disegnare una politica di sviluppo economico. I dati dimostrano che non siamo competitivi: c’è bisogno di una svolta, reale e concreta, un piano di sviluppo per tutta la regione e in particolare modo per la provincia di Teramo che ha indicatori allarmanti rispetto alla capacità di attrarre”.

Secondo Vincenzo Di Marco, “bisogna sostenere le ragioni delle aggregazioni di impresa che realizzano prodotti di filiera, sulla scia del modello Val di Sangro, rafforzare la digitalizzazione delle aziende, in particolare le piccole-medio imprese, incrementare la spesa per la ricerca e sviluppo, ridurre e snellire i procedimenti autorizzativi per le aperture di nuovi siti e il loro ampliamento, potenziare la formazione e incrementare l’uso e la produzione di energie rinnovabili. Sul tema dell’attrattività bisogna prevedere un piano di sviluppo economico che sia semplice, a partire dalle reti di comunicazione, stradali e ferroviarie, e in particolare modo per la provincia di Teramo va previsto il completamento della Teramo-mare e di tutti quegli assi viari che collegano verso i punti di smistamento delle merci”.

Poi una sottolineatura in particolare: “Nella zona industriale di Sant’Atto ci sono troppi opifici chiusi e si deve porre una grande attenzione affinché ripartano, come devono ripartire in tante zone della provincia in cui ci sono siti dismessi. Attraverso una politica regionale di sviluppo potrebbero essere rilanciati per favorire la prima necessità, ovvero l’occupazione”.