Il 23 maggio 1992 il tratto di autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo divenne la linea di faglia fra un prima e un dopo.
Il boato scaturito dal terribile attentato che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta irruppe nella vita di un paese intero, attraverso le televisioni e le radio, cominciò quel 23 maggio 1992 a riverberare i suoi effetti nello spazio e nel tempo, al punto che continuiamo a sentirne l’eco ancora oggi.
Per tornare a quei giorni e sondare l’effetto – molto più profondo e duraturo dell’eco qualsiasi bomba – che l’opera di Giovanni Falcone ebbe sul modo di intendere la lotta alla criminalità organizzata e a Cosa Nostra, il XXX Premio Borsellino ha invitato il 28 ottobre al teatro Circus di Pescara una testimone d’eccellenza di quei giorni per raccontare ai giovani studenti la figura di Falcone: Marcelle Padovani, la giornalista francese che fu fra le pochissime a conquistare la fiducia di Falcone, e lo fece al punto da diventare co-autrice, assieme al giudice, di un libro capitale, quel “Cose di cosa nostra” che aiutò almeno in parte a spezzare l’isolamento terribile nel quale versava Falcone a quei tempi.
Oggi Marcelle Padovani ci consegna un nuovo prezioso capitolo nella sua bibliografia, “Giovanni Falcone. Trent’anni dopo“, un libro che vuole fare il punto sull’acquisito, l’immutabile e il positivo” che la giustizia italiana ha saputo trarre dalla luminosa lezione falconiana. Un libro che va oltre le facili celebrazioni e che ha il merito di fare «il punto sull’acquisito, l’immutabile, il positivo» della giustizia. Sempre in compagnia di Giovanni Falcone. Del suo ricordo, ma anche del suo esempio concreto, presente, vivissimo
Ma attenzione, non si creda che Padovani abbia inteso, con questo libro, ricamare un “santino”, intorno alla figura di Falcone.
Su questo, la giornalista è chiarissima: non è di eroi che abbiamo bisogno, quanto di esempi. E Falcone è stato esattamente questo, in fondo: un cittadino e un servitore dello stato con le sue passioni e le sue idiosincrasie, che ha saputo mettere il bene comune al di sopra di ogni considerazione o interesse personale. Farne un eroe equivarrebbe, ci ammonisce Padovani, a tirarlo fuori dal corso della storia di cui è stato partecipe e protagonista, in qualche modo. Rendere la sua vita un esempio, molto più laicamente, significa invece farsi carico di quell’esempio e portarlo – ciascuno come sa e come può – nella vita di tutti i giorni. E far sì che nelle crepe dell’autostrada, a Capaci, possano continuare a crescere l’erba e i fiori.