Era trascorso oltre un mese dagli attacchi alle Torri Gemelle quando dalle macerie fumanti del World Trade Center spuntò un’inaspettata forma di vita. Era un gigantesco albero da frutto, un pero alto otto metri, piantato nel 1970 nei pressi di Church Street. Aveva il tronco bruciato, i rami spezzati e in larga parte carbonizzati ma non era ancora morto. Decisero allora di trasportarlo in un parco del Bronx per curarlo. Lì l’albero crebbe fino a raggiungere un’altezza di circa trenta metri e alla vigilia di Natale del 2010 fu riportato nel suo luogo d’origine per essere trapiantato nel cuore del 9/11 Memorial di New York.
Il grande spazio pubblico che celebra la memoria degli attentati dell’11 settembre 2001 ha oggi oltre quattrocento esemplari di quercia bianca ma l’albero più fotografato è sempre lui: il “Survivor Tree”, l’albero che è riuscito a sopravvivere sotto le macerie delle Torri Gemelle, diventato un simbolo straordinario della capacità di resistenza dell’animo umano. Il cratere delle torri ed è ormai da tempo uno dei luoghi più visitati di New York. Il silenzio quasi surreale della piazza è rotto soltanto dal lento scrosciare dell’acqua – simbolo di rinascita e di speranza – e da qualche voce che arriva da lontano, trasportata dal vento, mentre nuovi grattacieli vegliano sulla piazza come sentinelle della memoria. Evocare l’assenza attraverso il vuoto fisico lasciato dagli edifici era quanto si proponeva di fare il progetto. L’orrore che sconvolse il mondo vent’anni fa è stato ricostruito nel dettaglio nei piani sottostanti, dove si trovano i resti delle fondamenta delle Twin Towers, raggiungibili con le scale mobili che consentono di calarsi fino a 25 metri di profondità come in una dantesca discesa agli inferi. Il ventre di Ground Zero è stato trasformato in un luogo della memoria che vuole rappresentare anche simbolicamente un viaggio nell’oscurità e nella sofferenza.
Al piano più basso un’intera parete è ricoperta da un mosaico con i colori del cielo in cui spicca una famosa citazione di Virgilio, “No day shall erase you from the memory of time” (“Nessun giorno potrà cancellarvi dalla memoria del tempo”).
20 anni dopo ricordare significa anche porsi delle domande. All’indomani degli attacchi dell’11 settembre il grande shock per il popolo americano fu capire il perché una nazione buona e innocente fosse stata colpita con tale violenza. Era inverosimile immaginare che, come lo definì George W. Bush, “il faro più luminoso della libertà” fosse stato attaccato. Questo perché la gran parte degli occidentali vivono in una bolla mediatica che distorce la realtà e fa credere loro di vivere nel “mondo libero” quello dalla parte giusta della storia. Ma è davvero così ? Avverto che, in questi giorni dedicati al ricordo, sempre più persone diffidano, e non credono alle tesi narrate dai principali organi mainstrean. in Italia è sempre più forte una richiesta d’indipendenza della informazione che, dopo 75 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e quasi 35 dalla caduta del muro di Berlino, sarebbe già dovuta iniziare da tempo.
Nel nostro Paese sta maturando una domanda d’indipendenza e di vera sovranità dell’informazione che va ascoltata. La politica estera Usa ha mirato a occupare territori, attaccare paesi sovrani per imporre le proprie corporation e piazzare brutali dittatori. Si pensi a Somoza in Nicaragua, Pinochet in Cile, Suharto in Indonesia, Reza Pahlavi in Iran, Carlos Castillo Armas in Guatemala e Numumba in Congo. E aggiungo Bolsonaro in Brasile. Si pensi al “blocco” contro Cuba. Dopo il 1945 gli Usa sono diventati un’economia di guerra intraprendendo un percorso di colonizzazione che secondo André Vtchek ha causato la morte diretta di almeno 70 milioni di persone.
In questi giorni non ricorderanno che dei 19 dirottatori dell’11 settembre nessuno era afgano, iraniano o iracheno, ben 15 erano sauditi eppure gli Usa, legati economicamente all’Arabia Saudita, non fecero alcuna rimostranza verso questo regime a cui anche il nostro Paese vende armi; armi che di recente sono usate nel conflitto in Yemen che ha già ucciso 8000 persone.
Non è mia intenzione avanzare ipotesi su chi sia stato e perché fu effettuato l’attacco dell’11 settembre. Una mia convinzione dopo le mie esperienze da missionario laico in America Latina è che nel mondo non si muove una foglia se non ne sono a conoscenza preventivamente i servizi segreti Usa. A maggior ragione credo che sia impossibile che non ci fosse consapevolezza che fosse in programma un attentato di tale portata sul suolo americano. Sta di fatto che dopo quel terribile attentato in cui morirono 2974 persone il governo di George Bush ebbe un pretesto perfetto per proseguire il piano fissato nel 1990 di destabilizzare e poi controllare le fonti energetiche del Medio Oriente. Dopo il nemico comunista sfumato ne serviva subito un altro per giustificare gli ingenti fondi all’ipertrofica macchina bellica. Bin Laden ritenuto responsabile degli attentati era lo stesso combattente che, insieme a tanti jihadisti, fu definito da Ronald Reagan “Combattente per la libertà” allorquando la guerra santa fu armata e finanziata dagli Usa per fermare l’avanzata sovietica in Afghanistan. Ma oggi a 20 anni di distanza da quel terribile giorno in quanti hanno capito la correlazione con la politica estera Usa? Quanti sono davvero a conoscenza delle atrocità commesse dalla macchina bellica statunitense? In quanti hanno davvero compreso che la democrazia Usa in realtà è un’oligarchia composta da grumi di potere che fissano una politica estera aggressiva che continua a mettere a repentaglio la sicurezza dei più per tutelare i propri interessi?