In tempi di pandemia la raccomandazione di lavarsi le mani va per la maggiore. Una buona regola igienica, da applicare sempre, che però ha anche un preciso significato nel gergo comune: “lavarsene le mani”, infatti, vuol dire declinare ogni responsabilità, lasciando che la decisione venga presa da qualcun altro. L’espressione allude ad un passo del Vangelo, in cui Ponzio Pilato, prefetto romano della Galilea, lavandosi le mani davanti al popolo, dichiarò di non essere responsabile della morte di Cristo.
Ma chi era Ponzio Pilato?
Spulciando il web scopriamo che i dettagli biografici di Pilato, prima e dopo la sua nomina in Giudea, non sono certi, sebbene il suo nome sembri rimandare ad un’origine sannita.
Oltre che dai vangeli, le vicende di Ponzio Pilato ci sono note anche dai resoconti di due autori ebrei del tempo: Flavio Giuseppe e Filone di Alessandria. Un breve accenno è inoltre presente in Tacito.
Fu il quinto prefetto della prefettura della Giudea, su nomina di Lucio Elio Seiano, e rimase in carica tra gli anni 26 e 36 d.C..
Il suo nome e il suo ruolo nella Passione di Cristo compaiono in tutti e quattro i vangeli canonici, anche se questi non ne riportano un resoconto storico, ma un’interpretazione teologica, differente tra gli stessi evangelisti, in base a precedenti materiali della tradizione cristiana.
Il governatore della Siria, Lucio Vitellio, lo destituì nell’anno 36 o 37 a causa della durezza con la quale aveva represso i Samaritani che avevano messo in atto la rivolta del monte Garizim e l’imperatore Caligola lo mandò in Gallia (37-41 d.C.).
Filone di Alessandria racconta che era corrotto, licenzioso e crudele, che rubava e che condannava senza processo. Eusebio di Cesarea, citando degli scritti apocrifi, afferma che Pilato non ebbe fortuna sotto il regno di Caligola e si suicidò nella città gallica di Vienne, mentre secondo Agapio di Ierapoli, Pilato si suicidò durante il primo anno del regno di Caligola.
La leggenda, invece, narra che Ponzio Pilato fu giustiziano per ordine dell’imperatore Tito Vespasiano, proprio per non aver impedito la crocefissione di Gesù, e che il suo corpo fu caricato su un carro trainato da due bufali che da Roma lo trasportarono fino ai Monti Sibiliini, alle pendici del monte Vettore, nelle attuali Marche, gettandosi infine nel lago che oggi ha proprio il nome del prefetto romano: il Lago di Pilato.
Sempre la leggenda individua numerosi luoghi che si contendono l’aver dato i natali a Pilato o di averlo ospitato al suo rientro in Italia dopo la morte di Gesù.
A San Pio di Fontecchio, nell’aquilano, vi è un monte detto Montagna di Pilato dove la tradizione locale colloca la villa in cui Pilato si ritirò prima di morire. Il ritrovamento in tempi recenti di resti di edifici romani ha stimolato ulteriormente questa leggenda.
Altre leggende parlano delle rovine romane di Peltuinum presso L’Aquila. Vi è anche una rivendicazione molisana sulla città natale di Pilato, ad Isernia, per via di un’iscrizione romana di dedica sulla storica fontana Fraterna.
Un’altra leggenda narra che la villa di Pilato fosse localizzata a Tussio, sempre in provicia dell’Aquila, nelle vicinanze dell’antica Peltuinum. Ad avvalorare la tesi è sopravvenuto il ritrovamento di due leoni in pietra risalenti al I secolo d.C., che porterebbero invece ad indicarne la tomba. Sempre a Pilato viene accreditata l’introduzione nell’altopiano di Navelli dello zafferano ( Crocus sativus).
Più concreta, e ultimamente suffragata da riferimenti storici in una pubblicazione dal titolo “Io, Ponzio Pilato di Bisenti” scritta da Graziano Paolone e Angelo Panzone (edito da Richerche & Redazioni), la leggenda che vuole Bisenti, in provicia di Teramo, nella Vallata del Fino, quale patria di Ponzio Pilato, che, a differenza delle altre, è molto articolata. Non si limita ad affermare che il prefetto sia nato a Bisenti, ma spiega i dettagli dell’origine bisentina del prefetto romano. Secondo questa tradizione, tramandata di generazione in generazione, un avo del celebre funzionario romano, Ponzio Aquila, avrebbe partecipato alla congiura delle idi di Marzo contro Giulio Cesare; con il ristabilirsi dell’ordine pubblico, le famiglie dei cesaricidi furono confinate presso le colonie romane e tra queste i Ponzi furono esiliati in quel di Berethra (antico nome di Bisenti dal greco BARATRON “valle stretta e profonda”). Nato e cresciuto in questa località, il giovane e futuro prefetto avrebbe avuto dunque la possibilità di conoscere le tradizioni ebraiche e apprendere una lingua “straniera”, l’aramaico. L’allora Berethra, infatti, era è ubicata nel cuore di un territorio, dell’area centro-adriatica, conosciuto in antichità con la denominazione di “Palestina piceni” in quanto colonizzato nel 600 a.C. circa da popolazioni mediorientali provenienti dalla terra di Canaan.
Proprio la conoscenza del linguaggio e delle abitudini simil-giudaiche, apprese vivendo nella “Palestina Piceni”, avrebbero avvantaggiato il giovane militare Ponzio Pilato nella nomina di V prefetto della Giudea. A Bisenti è visitabile il luogo che la tradizione indica come casa natale di Ponzio Pilato. L’edificio, anche se modificato e ristrutturato nel corso dei secoli, conserva ancora, nel suo impianto, le caratteristiche di una tipica domus romana: un lato dello stabile presenta un porticato con un cortiletto o “vestibolo”, sul lastrico di tale corte si notano dei resti di un’antica pavimentazione realizzata con ciottoli che formano delle particolari geometrie molto simili alle figurazioni dei mosaici che impreziosivano le ville romane.
A ridosso di tale cortiletto si trova un locale, l’ “atrium” della “casa di Ponzio Pilato”. Al di sotto di tale area dell’edificio, sono presenti due enormi cisterne che, per le caratteristiche tecniche costruttive delle murature in “opus caementicium” e per la presenza di alcune tracce di intonaco impermeabile di tipo “opus signinum”, possono essere fatte risalire all’epoca romana. Sotto l‘ ”impluvium”, è ancora perfettamente conservato un “qanat”, un sistema di distribuzione idrico molto diffuso nei territori mediorientali. Non si può dunque escludere che il “qanat” di Bisenti sia stato realizzato proprio da Ponzio Pilato che, avendone appreso la tecnologia costruttiva in Giudea, una volta tornato in Abruzzo avrebbe costruito un sistema idrico del genere per captare le acque da una falda, incanalarle mediante una galleria sotterranea per alcuni chilometri e prelevarla, per le proprie esigenze personali, da un pozzo situato all’interno della sua casa e, per le necessità degli altri concittadini Berethriani, in una fonte di erogazione pubblica, oggi denominata “fonte vecchia”, della quale si possono ancora ammirare, integralmente preservate, i cunicoli di adduzione e le vasche di decantazione.
Inoltre, ad avvalorare la leggenda che Pilato fosse di origine abruzzese, vi è l’ipotesi che lo fa discendere dalla famiglia Vestina dei Ponzi, da cui sarebbero usciti, al tempo della guerra sociale, gli avi di Ponzio Pilato quali condottieri dell’esercito sannita.
Un conterraneo illustre, Ponzio Pilato, anche se legato all’uccisione di Cristo. E il suo gesto di “lavarsene le mani” è rimasto nella storia, e nelle abitudini di tanti italiani.