“Arriva puntuale, lo attendevamo, l’audit aggiornato Health at Glance 2022 dell’Ocse, che ci offre un quadro ancora una volta desolante della sanità italiana, almeno per quanto riguarda la realtà infermieristica, sia nei numeri strettamente legati al rapporto infermiere-paziente e infermiere-medico, che per quanto concerne le retribuzioni dei nostri professionisti della salute”. Così esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, nel rilevare che “poco o nulla è mutato rispetto al precedente dato  infermiere-paziente, laddove i numeri relativi ai  nostri operatori sanitari, con una media italiana di 6.3 ogni mille abitanti, denunciano  quella carenza di personale, ormai pericolosamente cronica, che rappresenta uno dei più gravi campanelli di allarme del nostro ‘malandato’ SSN”.

“Gli infermieri – sottolinea l’Ocse – costituiscono la categoria più numerosa di operatori sanitari in quasi tutti i paesi dell’UE. Il ruolo chiave che ricoprono, fornire assistenza negli ospedali, nelle strutture di assistenza a lungo termine e nella comunità è stato nuovamente evidenziato durante la pandemia. Le carenze preesistenti di infermieri sono state esacerbate durante i picchi dell’epidemia, in particolare nelle unità di terapia intensiva, ma anche in altre unità ospedaliere e strutture di assistenza a lungo termine. Si prevede che la domanda di infermieri continuerà ad aumentare nei prossimi anni a causa dell’invecchiamento della popolazione mentre molti infermieri si stanno avvicinando all’età pensionabile”.

“In media – precisa De Palma – nella maggior parte dei paesi Ue, rispetto al nostro già citato 6.3, ci sono circa 8 infermieri ogni mille abitanti. Il quadro della realtà infermieristica di casa nostra, legato alla presenza di personale, rimane quindi a tinte estremamente fosche”. Si legge ancora nel rapporto Ocse: “Tra i paesi dell’UE, il numero di infermieri pro capite è stato più alto nel 2020 in Finlandia, Irlanda e Germania. Al di fuori dell’UE, il numero era più alto in Norvegia, Svizzera e Islanda, anche se circa un terzo degli infermieri in questi ultimi due paesi sono formati a un livello inferiore , e conseguentemente , pur essendo chiamati infermieri, svolgono funzioni meno qualificate”.

“L’Italia infermieristica ha compiuto solo flebili passi in avanti passando dalla media del 5.7 ogni mille abitanti – commenta il Presidente del sindacato degli infermieri – a quella del già citato 6.3 ogni mille abitanti, nel giro di qualche anno. Di contro, con una media di 4 medici ogni mille abitanti, perfettamente in linea con i Paesi Ue, se non in alcuni casi superiore, rientra decisamente, lo abbiamo ripetuto più volte, l’allarme della mancata presenza dei camici bianchi, in particolare evidenziando che quelli specializzati sono addirittura in netto aumento, rispetto ad un calo, ma non certo allarmante come quello degli infermieri, dei medici di base. Ma non è finita: nel 2020 c’erano in media 2,2 infermieri per medico in servizio, con un rapporto infermiere-medico che raggiungeva circa quattro in Lussemburgo e Finlandia. Il rapporto era molto più basso nei paesi dell’Europa meridionale e in Lettonia. In Italia, neanche a dirlo, il rapporto è molto più basso rispetto alla media Ue, con 1.6 infermieri per medico. In tutti i paesi europei, la remunerazione dei medici (sia medici di base che specialisti) è sostanzialmente superiore al salario medio di tutti gli altri lavoratori. Nella maggior parte dei paesi, i medici generici guadagnavano e guadagnano da due a quattro volte di più del salario medio di qualunque altro dipendente del paese interessato , mentre gli specialisti guadagnano da due a cinque volte di più. La retribuzione degli infermieri italiana (riferita al reddito medio annuo lordo, comprensivo di contributi previdenziali e tasse sul reddito, ma con esclusione di straordinari e calcolato a parità di potere di acquisto), invece, secondo l’Ocse risulta di 28.400 euro a fronte di una media UE di 35.300 euro”.

“Ed è sempre il nuovo report Ocse che evidenzia e conferma tristemente la situazione attuale, raccontandoci solo una parte della realtà delle retribuzioni percepite dai medici del SSN, e cioè gli stipendi che vengono pagati loro dagli enti ed aziende sanitarie, senza nulla dire rispetto alle cospicue entrate che la grande maggioranza di questi fortunati professionisti incassa svolgendo la libera professione, entrate, beninteso, che in molti casi superano di gran lunga gli  stipendi che i medici percepiscono delle aziende sanitarie alla fine del mese. E’ noto infatti che, diversamente dai medici, gli altri professionisti sanitari del comparto, infermieri in primis, ai quali incomprensibilmente è ancora vietato di svolgere la libera professione, possono contare solo sui magri stipendi degli enti datori di lavoro, che peraltro, sono molto più bassi rispetto a quelli dei colleghi in Europa. Insomma, i numeri del nuovo audit mettono nero su bianco che la forbice tra le retribuzioni del personale medico e quelle degli altri professionisti del comparto si va allargando sempre di più, creando una sperequazione e una disparità che non legittima le competenze e l’assoluta eccellenza che gli infermieri, e le altre professioni sanitarie del comparto rappresentano, ieri come oggi”, chiosa De Palma.