TERAMO – Quando l’aria profuma di camino e caldarroste, e il freddo sempre più si fa sentire ci fa stringere nei cappotti di lana, allora è il periodo dell’anno in cui è più bello tornare a casa e lasciarsi tentare da un piatto che ristori, fumante e aromatico che riscalderà i cuori. Quando “La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia” siamo nei giorni di San Martino. Protagonista di una poesia di Carducci, nota solo perché nel 1993 Fiorello e Cecchetto misero in musica. Giusto così. Povero Martino di Tours. Chi glielo avrebbe detto. Giusto così. Martino è un tipo troppo scomodo da ricordare. San Martino era uno con le palle. Capace di dividere il suo umico mantello. Mica come i cristianucco di oggi che al massimo si dividono qualche cattiveria e un panino con la porchetta. Così Lui, il vescovo che che taglia il suo mantello da cavaliere ora è ricordato nel mondo per il vino nuovo, qualche cornuto, gli immancabili piatti di ceci e castagne, rape e salcicce e bruschetta con l’olio nuovo.

Ai più sfugge che Martino di Tours fu il primo tra i santi non martiri proclamati dalla Chiesa. Testimone della fede e della carità. Il santo francese per eccellenza. Vescovo ed eremita mille anni prima di Celestino. Fondatore del monachesimo in Occidente. Fondatore a Ligugé della prima comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Modello per i cristiani che guardano al Vangelo come fonte di ispirazione. Ammettetelo, non lo sapevate! Paradossi! C’est la vie! Lo ricordiamo per ceci e castagne. Sempre meglio dei pagani che non lo ricordano affatto. Certo, nelle feste dei Vescovi pagani di dubbia fama, non mancheranno il vinello fresco e le castagne calde delle campagne diocesane, oltre alle ormai note degustazioni di caviale, con bollicine millesimate portate dal cocainomane. Che non possono mai mancare. In certi luoghi blasfemi, tra barbetta che gli sbuccia le castagne, e la comare che gli versa un bel bicchier di vino, ma anche tre, è sconveniente ricordare, perché parlare del Vangelo. Per gli amici di Becciu, Bagnasco e Bertone è più facile dimenticare. Il suo culto è esteso in tutta Europa, ben oltre gli attici blasfemi di 430 mq di un certo Bertone, amico del pagano Becciù (condannato come la sua amica Cecilia sia dalla procura di Roma che da promotori di giustizia vaticani).
“L’apostolo delle Gallie” è venerato dal popolo in tutto il mondo: in lui si associano la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria. Giustamente quelli che celebrano le vecchie liturgie che puzzano di muffa e mafia non lo ricordano. Più di 200 città e piccoli paesi, 4.000 associazioni caritatevoli, e quasi 6.000 parrocchie portano il suo nome. Ma per colpa della Chiesa pagana che si perde dietro l’apparenza, e disconosce i valori cristiani, in Italia San Martino è molto più famoso per il vino, castagne e salcicce, che per i miracoli. Ma è uno dei santi più venerati nel mondo. Di ispirazione francescana. Riservato, scelse la vita monastica, la povertà e l’umiltà. Patrono di Francia, patrono delle Guardie Svizzere, festeggiato in tutto il mondo per i suoi miracoli, protettore dei mendicanti. Venerato dalla Chiesa Cattolica (ma anche da quelle ortodossa e copta) nel mondo, ma non ovunque. Ovvio che per i Vescovi che lo festeggiano con salcicce e abbondante vino, con shottini di genziana – con il silenzio complice di molti pretacchiuli, senza palle e senza fede, che vivono da morti anche se respirano – è un tipo troppo scomodo da ricordare. San Martino era uno con le palle. Capace di dividere il suo umico mantello. Meglio dimenticare, e affidarsi alle parole invece che ai fatti per spicciare un pò di elemosina. Organizzatore straordinario dell’opposizione all’eresia sarebbe utile ancora oggi, anche qui in terra d’Abruzzo piagata dai falsi predicatori.
San Martino, eletto Vescovo, continua a vivere in un eremo solitario, a tre chilometri dalla città, in cui impone a se stesso e ai fratelli una regola di povertà, di mortificazione e di preghiera. Qui fiorisce la sua eccezionale vita spirituale, nell’umile capanna in mezzo al bosco, che funge da cella. Ha la dignità di un Vescovo ma rifiuta il lusso e l’apparato di un dignitario della Chiesa, respinge le visite di carattere mondano delclun “lecco anche in ginocchio per nu pustarìl” , respinge le cene del club “E’ bianca ma non è farina” , le vecchie damigelle troie dei club “sorelle selfie”, i ruffiani leccaculo per interesse, gli ‘ncravattati che fanno la morale al prossimo perché non hanno uno specchio in camera. E’ un Vescovo, è un testimone di Cristo e della croce, dunque protegge e da voce alle classi sociali più povere e derelitte, si occupa dei più fragili e degli ultimi. Difende i malati, che guarisce e resuscita. Al suo intervento anche i fenomeni naturali gli obbediscono. Per san Martino, amico dei poveri, la povertà è l’unica scelta possibile, una realtà da vivere nel soccorso e nel voto. Come Gesù Cristo. Entità completamente dimenticata in molte diocesi. Infatti è un santo non un poveretto triste, brutto, innamorato del suo ego, compiaciuto solo per interesse da chi è più brutto di lui. Di lui si preferisce ricordare la leggenda del mantello. Leggenda per leggenda, visto che i mantelli non si usano più, e per non scomodare Gesù, stasera mangiamoci due salcicce belle calde e una bella caraffa di vino novello. E sempre viva San Martino – Leo Nodari