La mafia uccide, il silenzio  pure. 43 anni fa, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, Peppino Impastato venne barbaramente ucciso dalla mafia a Cinisi. Dai microfoni della radio quotidianamente condannava la mafia, il silenzio e la rassegnazione e attraverso l’informazione e la conoscenza contrastava la violenza mafiosa.
La Città di Teramo  lodevolmente ha  ricordato  oggi  la figura di Peppino Impastato con una cerimonia, in Piazza Orsini alle ore 12.

Molto incisivi alcune testimonianze che hanno voluto testimoniare come ancora vivo è il suo coraggio di ribellarsi, la sua determinazione a non rassegnarsi, a non rimanere in silenzio. Ancora viva è la sua storia di coraggio La vicenda del ragazzo di Cinisi arriva anche nelle sale cinematografiche grazie al film “i cento passi” di Marco Tullio Giordana che in maniera per nulla romanzata racconta la storia di Peppino.  Cento passi erano esattamente la distanza fra casa Impastato e casa del boss Badalamenti e finalmente, anche grazie alle musiche dei Modena City Ramblers, nelle sale cinematografiche Peppino riceve il tributo d’onore che gli spetta.

Quest’anno è il 43° anniversario di quell’esecuzione mafiosa che per molto tempo alcuni volevano far apparire qualcosa di diverso. Tutti coloro che hanno compiti educativi, hanno il compito di trasmettere ai giovani, con un linguaggio nuovo, questa storia di lotta e di coraggio. Ricordare Peppino Impastato è un atto doveroso; un doveroso momento di memoria attiva ancora più importante oggi per ribadire l’impegno a difesa della Costituzione e dei suoi valori fondamentali. Riaffermare e difendere i principi della Costituzione credo che sia il modo migliore per ricordare Peppino Impastato e Aldo Moro, che sembrano così lontani eppure sono così vicini. Uno è l’espressione più alta della società civile che si ribella, l’altro è l’espressione più alta di una Istituzione che si ribella alla crisi morale del Paese. Tenerli insieme credo che sia il modo migliore per far comprendere che chi combatte o ha combattuto “il sistema”, ha dovuto superare le contraddizioni della famiglia nel caso di Peppino e le contraddizioni del proprio partito nel caso di Moro. Pagando un uguale prezzo. Mentre a Roma veniva ritrovato il cadavere di Aldo Moro, in Sicilia, nel piccolo paese di Cinisi, veniva ritrovato ciò che restava del corpo di Impastato. Era il 9 maggio del 1978, una data drammatica per il nostro Paese.

Peppino Impastato aveva iniziato da giovanissimo la sua battaglia civile e politica diventando un punto di riferimento per i ragazzi che cominciarono a vedere in lui una concreta opportunità di reazione e liberazione dalla prepotenza mafiosa. Era consapevole dei rischi che correva, ma era troppo potente in lui il desiderio di riscattare sè stesso e la sua terra dall’onta della criminalità organizzata. In questo suo impegno c’era una componente rivoluzionaria: apparteneva lui stesso a una famiglia mafiosa. Questo rendeva più eclatanti e più efficaci il lavoro di sensibilizzazione e le denunce che portava avanti. Tanti, anche grazie all’esempio di Impastato, hanno continuato a percorrere idealmente quei ‘cento passi’ tra la sua casa e quella del boss Gaetano Badalamenti, mandante del suo assassinio: ciascuno partecipando con la propria storia, le proprie competenze e il proprio impegno a una battaglia civile contro ogni forma di collusione con le mafie, per gridare contro il sudiciume e la dissolutezza della criminalità organizzata.

Scuola, istituzioni e politica devono mantenere sempre alta l’attenzione contro il malaffare, la corruzione e tutte le forme di complicità con le mafie. E’ il modo migliore per ricordare Peppino Impastato e chi, come lui, ha sacrificato la propria vita per non rinunciare a sognare un Paese migliore. La concentrazione deve essere massima per contrastare le mafie, per percorrere non cento, ma mille passi in piena libertà.