“Collocazione provvisoria: non c’è formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo” (don Tonino Bello).
Questa sera alle ore 21, si svolgerà a Teramo la Via Crucis nello scenario del Teatro Romano di Teramo. Come ormai da tradizione, la rappresentazione si svolge nel venerdì che precede la Settimana Santa, lasciando inalterato il programma del Triduo Pasquale nella città. La croce è per noi il ricordo della passione, morte e risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo. Segno di dolore e di apparente sconfitta, ma è soprattutto segno di vittoria sul male e sulla morte, segno dell’amore di Gesù per noi. Solo che noi la croce l’abbiamo attaccata alle pareti, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Il ruvido legno è diventato prezioso oro. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini, ma l’abbiamo isolata.
“Pilato parlò, volendo rilasciare Gesù”. Ma essi urlavano: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Ed egli, per la terza volta, disse loro: “Ma che male ha fatto costui?” Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso. Pilato allora se ne lava le mani e abbandona Gesù alla croce (Luca 23, 20-25). La condanna sbrigativa raccoglie le facili accuse, i giudizi superficiali tra la gente, le insinuazioni ed i preconcetti che chiudono il cuore e si fanno cultura razzista, di esclusione e di “scarto”. E noi? Noi in prima fila quando c’è da farsi vedere lacrimevoli e angosciati alla via crucis sapremo avere una coscienza retta e responsabile, trasparente, che non volga mai le spalle all’innocente, del povero, del bisognoso, ma si schieri, con coraggio, in difesa dei deboli, resistendo all’ingiustizia e difendendo ovunque la verità violata? Noi che non vediamo l’ora di poter sfilare con il cappotto nuovo e dalla parte dei buoni dietro una croce, sapremo accogliere la croce? Sapremo fare ciò che è in nostro potere per schiodare tutti coloro che vi sono appesi. Anche noi oggi siamo chiamati a un compito di portata storica: “Sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi” (Isaia 58, 6). Noi, che questa sera cammineremo a mani giunte e occhi umidi recitando “Cristo, pietà. Signore, pietà” come una ritmata litania recitata a pappardella , o siamo in realtà convinti che solo Lui può trasformare il cammino dell’umanità dalla morte alla vita.
Mentre ripeteremo le parole del Vescovo rifletteremo sul senso e sul messaggio che parte da quella croce che pesa tanto perché su di esso Gesù porta i peccati di tutti noi. Un peso enorme che è anche il peso di tutte le ingiustizie che hanno prodotto la crisi economica, con le sue gravi conseguenze sociali: precarietà, disoccupazione, licenziamenti, un denaro che governa invece di servire, la speculazione finanziaria, i suicidi degli imprenditori, la corruzione e l’usura, con le aziende che lasciano il proprio paese. Noi allegeriremo il Cristo che barcolla sul Calvario o stiamo mettendo altri pesi con le nostre scelte .Questa croce pesante è anche quella del mondo del lavoro, l’ingiustizia posta sulle spalle dei lavoratori. Gesù la prende sulle sue e ci insegna a non vivere più nell’ingiustizia, ma capaci, con il suo aiuto, di creare ponti di solidarietà e di speranza, per non essere pecore erranti né smarrite in questa crisi.
Ma Gesù alla terza stazione cade. E’ un Gesù fragile, umanissimo, quello che contempliamo stasera con stupore in questa stazione di grande dolore. Ma è proprio questo suo cadere, nella polvere, che rivela ancora di più il suo immenso amore. E’ pressato dalla folla, stordito dalle grida dei soldati, bruciante per le piaghe della flagellazione, colmo di amarezza interiore per l’immensa ingratitudine umana. E cade. Cade per terra! Si rialza e cade. Ma in questa caduta, in questo cedere al peso e alla fatica, Gesù si fa ancora una volta Maestro di vita. Ci insegna ad accettare le nostre fragilità, a non scoraggiarci per i nostri fallimenti, a riconoscere con lealtà i nostri limiti. Con questa forza interiore che gli viene dal Padre, Gesù ci aiuta anche ad accogliere la fragilità degli altri; a non infierire su chi è caduto, a non essere indifferenti verso chi cade. E ci dà la forza di non chiudere la porta a chi bussa alle nostre case, chiedendo asilo, dignità e patria. Consapevoli della nostra fragilità, accoglieremo tra noi le tante fragilità che si assommano anche nella nostra piccola città, perché trovino sicurezza e speranza.
Solo questa sera o sempre, ci faremo trovare pronti alla quinta stazione. Come Simone di Cirene. Che tornava dai campi e fu costretto a portare la croce di Gesù. Da casuale, quell’incontro si trasformerà in una sequela decisiva e vitale dietro a Gesù, portando ogni giorno la sua croce, rinnegando se stesso (cfr Mt 16,24-25). Qui sta la vera guarigione dal nostro egoismo, sempre in agguato. La relazione con gli altri ci risana e genera una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere, aggrappandosi all’amore di Dio. Solo aprendo il cuore all’amore divino potremo scegliere l’impegno lungimirante del bene comune, la condivisione del pane vincendo ogni forma di egoismo. La croce, allora, si farà più leggera, se portata con Gesù e sollevata tutti insieme, “perché dalle sue ferite saremo guariti” (cfr 1 Pt 2,24).