Paolo Borsellino, in un suo intervento in una scuola, disse “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene” Ormai di criminalità organizzata in generale ne parlano in tanti. Chi con cognizione di causa della problematica, chi per spirito civico, chi tanto per parlare. Poi c’è chi ne parla, perché la mafia l’ha denunciata, precisamente la camorra dei clan Russo di Nola, i Mallardo di Giugliano, gli Scissionisti di Secondigliano e gli altri clan padroni dell’area nord della città di Napoli. Uno di questi che ha denunciato, ha fatto arrestare i suoi estorsori, e ne continua a parlare da 19 anni è Luigi Leonardi, un imprenditore nato a Napoli nel 1974, vittima di numerose estorsioni, tutte denunciate, ed è per questo motivo che ha perso due fabbriche di impianti di illuminazione, i punti vendita e la sua casa.
Luigi Leonardi è stato tradito, massacrato e abbandonato dallo Stato Leonardi ha fatto arrestare vari camorristi grazie alle sue denunce, ma lo Stato lo ha tradito, portandolo a pentirsi di aver coraggiosamente denunciato le richieste estorsive da parte dei clan camorristici napoletani, portandolo ad una vita di rinunce, in costante pericolo e ad una lunga trafila nei tribunali per testimoniare di persona contro i clan. Un Paese, l’Italia, che non cambierà mai. Raccontiamo le favole che tutto va bene ma qui, se non ti uccide la camorra ti uccide lo Stato. Se sei talmente stupido da denunciare e far arrestare i delinquenti. In una situazione che si è fatta nel tempo insopportabile per l’imprenditore, che rivela come dopo aver denunciato l’estorsione ha perso le sue case in attesa da 10 anni di avere i ristori coi processi in corso. Chi gli ridà quello che aveva? E non è solo lui, ma sono tanti i poveri ingenui che credono nello Stato, che hanno avuto il coraggio di denunciare, falliti perché non sono tutelati.
Oggi sui social gli dicono che è stato un matto a denunciare, gli chiedono chi glielo abbia fatto fare. Hanno ragione. Arrivati a questo punto chi rifarebbe mai quello che ha fatto lui ? Anzi la sua storia, le lungaggini, i rinvii, le promesse tradite sono un invito a non denunciare. E’ lo Stato che dice che non ne vale la pena. Infatti c’è un calo assurdo delle denunce, le associazioni anti racket non offrono supporto, non hanno fondi ne personale adeguato. Mentre i processi durano anni e anni, nel frattempo chi ha fatto “l’eroe” è completamente abbandonato.
Se fosse stato zitto avrebbe dovuto fare il sacrificio di pagare e subire ma almeno non avrebbe corso il rischio della vita. Come possiamo continuare a dire agli imprenditori che bisogna credere nello Stato se diventa sempre più assurdo andare a chiedere quello che ti spetta, nel momento in cui decidi di denunciare? Credo nella magistratura, nelle forze ordine, ma anche loro fino a un certo punto possono fare, oltre non possono più andare.
Ricordo ai “coraggiosi” in ciabatte, chiusi nelle loro stanze di casa , che nel corso degli anni Leonardi ha subito diverse minacce da parte di esponenti dei clan che ha fatto condannare con vari maxi processi rispettivamente ai tribunali di Napoli e di Nola. Quella di Luigi non è una semplice vicenda di cronaca giudiziaria ma è una storia che riguarda l’imprenditoria nel Mezzogiorno, i rapporti tra le vittime di mafia e le istituzioni democratiche e la voglia di riscatto personale dopo che la camorra e un estenuante iter giudiziario ti hanno tolto tutto, anche gli affetti. È un Paese particolare l’Italia. Uno Stato le cui istituzioni hanno dimenticato o hanno fatto finta di non vedere che Luigi Leonardi con le sue denunce ha provocato ‘’81 condanne definitive per 750 anni di galera per il Clan Russo. Un processo durato 10 anni, svoltosi nell’aula bunker di Poggioreale e che ha portato a 174 arresti da parte dei Carabinieri’’.
Ha fatto nomi e cognomi di assassini spietati Luigi Leonardi. Da quando ebbe la forza di denunciare, Luigi quella forza non l’ha mai persa nonostante le minacce e lo sfiancante labirinto giudiziario da cui non è ancora uscito. Ogni volta che parla, chiamando per nome i suoi aguzzini e come se mantenesse viva la fiamma di quel coraggio della prima denuncia. Quella fiamma che se hai deciso di fare impresa in un territorio difficile come quello di Napoli e dintorni – nel 2002 fatturava 6 milioni di euro all’anno e aveva 36 dipendenti – e preserva con passione anche per andare avanti con il lavoro.
Dopo Napoli e Roma ora nascono dei comitati di solidarietà per questo imprenditore napoletano anche in Abruzzo . Ma comunque sono amareggiato mentre scrivo di lui, perché capisco che a partire dalle minacce il peggio è venuto dopo, durante la battaglia estenuante per far sì che emergessero la verità e quella giustizia richiesta a gran voce, con ogni mezzo possibile, ma mai pienamente ricevuta. Per sordità politica, per la burocrazia, per i tempi delle Procure. Antichi mali italiani che hanno affossato ulteriormente un brillante imprenditore finito nella tenaglia di un fenomeno tutt’altro che debellato.