TERAMO – Le problematiche legate all’aumento del numero dei cinghiali, nella nostra regione come nel resto d’Italia, sono state affrontate nel corso del convegno “Il cinghiale e il territorio: dalla ricerca scientifica alla gestione” organizzato dall’Università degli Studi di Teramo e dal WWF Abruzzo venerdì 4 febbraio scorso presso il campus di Medicina Veterinaria a Teramo. Un convegno inquadrato nel Progetto “Tante specie – un solo Pianeta” a cura delle strutture territoriali del WWF nella regione Abruzzo. La grande partecipazione testimonia l’importanza del tema: vi sono stati oltre 300 iscritti on line e diverse decine di partecipanti in presenza tra cui rappresentanti del mondo accademico, dei Carabinieri Forestali, delle ASL, delle aree naturali protette, delle associazioni ambientaliste e di categoria.
La gestione del cinghiale è una questione complessa che investe e coinvolge molti settori della società e che proprio per la sua complessità richiede interventi basati sulle evidenze scientifiche e sull’analisi dei risultati delle pratiche messe finora in atto. Non a caso il convegno è stato aperto da una relazione del prof. Andrea Mazzatenta dell’Università di Teramo e da una review di oltre 80 pubblicazioni presentata da Filomena Ricci, delegato del WWF Abruzzo e da Marco Galaverni, direttore scientifico del WWF Italia.
In buona sostanza la caccia, così come il cosiddetto selecontrollo, intervenendo sulle dinamiche ecologiche della specie ottiene risultati opposti rispetto alle intenzioni: più abbattimenti e pressione sulla popolazione ci sono, più i cinghiali si riproducono (i numeri quindi aumentano anziché diminuire) mentre i gruppi familiari si destabilizzano. Di conseguenza crescono sia i danni all’agricoltura sia gli incidenti stradali. Lo dimostrano ormai numerosi studi, ma lo dimostra anche l’esperienza pratica: da anni l’emergenza cinghiali si contrasta affidandosi quasi soltanto a doppiette e carabine ma la situazione è tutt’altro che migliorata. Dai dati presentati nel convegno è pure emerso come le catture con i chiusini si sono dimostrate efficaci riuscendo a essere più selettive rispetto al prelievo venatorio come dimostrano alcune esperienze pratiche condotte sul campo nella riserva regionale e Oasi WWF del Lago di Penne. Anche le misure di prevenzione con i recinti elettrificati, laddove sono state attuate, hanno avuto effetti positivi, pur necessitando di alcune accortezze nella fase di installazione e per la manutenzione, come è stato illustrato dall’esperienza della riserva regionale e Oasi WWF dei Calanchi di Atri. Così come vi sono primi esperimenti di sterilizzazione, attraverso interventi però complessi da gestire su ampi spazi.
Evidenze scientifiche che purtroppo difficilmente diventano elemento su cui basare le scelte. Si preferisce invece riproporre da anni sempre le stesse soluzioni anche se non hanno prodotto risultati. L’intero settore continua infatti a risentire dell’approccio per cui la gestione faunistica finisce per coincidere con la gestione venatoria: nulla di più errato! Il caso dei cinghiali dimostra esattamente il contrario: a causa della caccia dagli anni 60 del secolo scorso vi sono state enormi immissioni di cinghiali provenienti dall’Est Europa che hanno finito per determinare un disequilibrio che l’aumento della pressione venatoria non solo non ha risolto, ma ha addirittura fatto aumentare. Se quindi l’obiettivo dichiarato è quello di diminuire il numero dei cinghiali per far diminuire i danni alle colture (e in alcuni casi anche al patrimonio naturale) è inutile aumentare i periodi di caccia arrivando, come è oggi in Abruzzo, a consentire il prelievo venatorio – nella forma della caccia e in quella del selecontrollo – tutto l’anno.
Sul punto va registrata la differente visione della Regione Abruzzo che è intervenuta al convegno con il Vicepresidente Emanuele Imprudente il quale ha ribadito come l’Ente intenda insistere sulla strada fin qui seguita, ritenendo che non occorrano ulteriori studi e che sia invece necessario agire rapidamente per risolvere il problema. Una esigenza, quella della rapidità, condivisa da tutti. Non c’è del resto alcuna necessità di ulteriori ricerche, perché gli studi già ci sono. Si tratta solo di adottare le soluzioni che questi propongono, andando poi a costante verifica della loro efficacia. Come ha evidenziato il Prof. Michele Amorena dell’Università di Teramo, che ha introdotto e moderato il dibattito, “è sbagliato pensare di fornire soluzioni semplici a problemi complessi” ed è ancora più sbagliato, ha aggiunto nelle conclusioni Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia, “continuare con strategie che fino ad oggi si sono dimostrate a dir poco inefficaci”. Più volte nel corso dell’incontro sono state richiamate le difficoltà che il mondo dell’agricoltura sta incontrando a causa del proliferare dei cinghiali, ma proprio per rispetto a questo mondo è compito di tutti attuare soluzioni efficaci se l’obiettivo è davvero quello di risolvere il problema dei danni alle colture e non quello di consentire la caccia tutto l’anno, persino all’interno di aree naturali protette.
“Una vera soluzione è possibile solo attraverso una strategia che coinvolga tutti i portatori di interesse e che si basi esclusivamente sulle evidenze scientifiche e sulle modalità più efficaci. In caso contrario, il rischio è che tra qualche anno avremo tanti cinghiali uccisi in più, ma con ancora più danni di quelli registrati ad oggi. Per questo l’intenzione dell’Università di Teramo e del WWF Abruzzo è quella di continuare a offrire occasioni di riflessione chiedendo disponibilità al settore dell’agricoltura attraverso le associazioni di categoria: solo un confronto aperto e tecnicamente supportato potrà aiutare ad adottare soluzioni davvero efficaci”, sono le conclusioni del WWF Abruzzo.
In foto (da sin): gen. Giampiero Costantini, Comandante Regione Carabinieri Forestale Abruzzo e Molise; prof. Michele Amorena, Università degli Studi di Teramo; dott. Mario Di Domenicantonio, Direttore Servizio Veterinario Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche ASL di Teramo