Come si racconta un amico che non vedi e non senti da tanti anni. E’ difficile. Ma è doveroso che qualcosa resti scritto di lui, e non solo nelle lacrime, nel ricordo e nel cuore della sua famiglia. Questa è la  prima cosa che ho pensato quando ho saputo della morte di Raffaele Longo. Un uomo serio. Una persona perbene. Si poteva dissentire dalle sue idee, ma era difficile non provare per lui simpatia umana. Innanzitutto perché era davvero un politico mosso da passione ideale. Raffaele è stato uno che credeva. Fedele ai suoi ideali. E ciò gli aveva consentito di seguire e coltivare i suoi molteplici interessi sociali, sportivi,  culturali e politici. Di origine calabresi, fortemente calabresi, un calabrì, una “roccia” coerente ed appassionato. Decisamente una figura atipica  se pensiamo al clima attuale di degrado totale della vita pubblica.  Fu un calabrese che amava Roseto degli Abruzzi e per questo volle  dopo il suo lavoro di ufficiale giudiziario  volle dedicarsi all’attività politica amministrativa  in questa città “sua” e fu per anni consigliere comunale per il Msi. Stimato da tutti per la preparazione, per la coerenza e per l’intransigenza unita ad un carattere forte, rigoroso. E tutti, negli anni, gli riconobbero  una onestà personale e politica al di sopra di ogni sospetto.  L’ho già detto, fu un atipico che  condusse delle battaglie memorabili in difesa degli interessi della sua città “rossa”, con amore per gli altri, dedicandosi, sempre gratuitamente, all’organizzazione politica . Senza lo spessore filosofico di Elso Simone Serpentini, Senza il carisma di Salvatore Tringali, senza l’arte diplomatica di Nicola Crescenzi, Raffaele fu più amato dai giovani di destra perchè era un uomo del popolo, era diretto, crudo, coraggioso, puro, informale con quel suo anello con il viso di Mussolini.  E questo piaceva a tutti. Anche quando decise di entrare in una giunta “atipica” con “Lupo” Vannucci, e un altro atipico sui generis, Pio Rapagnà. E per questo quelli che poi diventeranno alleati di evasori, ladri e papponi lo espulsero.   Molte cose ancora si potrebbero dire per illustrare i meriti di quest’uomo assolutamente semplice, a tratti burbero, oggi si direbbe “antisocial” fino all’essenzialità, ed una grande modestia unita ad un carattere sensibile e delicato che gli ha permesso di donare – innanzitutto alla famiglia – sempre un grande insegnamento morale non formalmente ipocrita, come usa oggi, ma autentico. E per questo i suoi amici ed i ragazzi di un tempo non lo dimenticheranno mai.

Ma vorrei dire qualcosa ancora. Un ricordo che è personale.  Longo era irremovibile nelle sue convinzioni fasciste, ma non amava i rituali nostalgici e criticava l’immobilismo di Giorgio Almirante che riteneva troppo compiaciuto nel suo ormai antistorico letargo. Fu fautore di una visione più dinamica. Fustigatore del malaffare, estraneo alla logica autocelebrativa dominante nel partito, sempre contro la degenerazione affaristica della politica, sapeva guardare con occhio critico alla storia della destra, comprese le innegabili contiguità con i servizi segreti degli ambienti implicati in attività eversive per lunghi anni. Ricordo che negli anni ’70, anni in cui l’Italia traboccava di speranza, ma anche di morte, e potevi essere ucciso per un paio di stivali che indossavi, perché passavi nel quartiere sbagliato, perché finivi in mezzo ad una sparatoria, perché leggevi il giornale ‘sbagliato, lui fu sempre in prima fila. Negli anni ’80, anni di svolta sociale, di diritti conquistati, ma anche di paura, di stragi, di delinquenza feroce, di ragazzi uccisi di qua e di là della barricata per odio cieco e vendicativo, dove alcune istituzioni giocarono per fagocitare il cambiamento, bloccarlo, oppure sviarlo, mentre giovani di destra e di sinistra, appartenenti alle forze dell’ordine, magistrati e semplici cittadini venivano tutti travolti dalla spirale della violenza, lui fu sempre in prima fila.

Il 7 gennaio 1978, durante le manifestazioni che seguirono la Strage di Acca Larentia, – uno di quegli episodi in cui al dolore e alla fine premature di tre giovani militanti di destra, si è associata l’assenza dello Stato e della Magistratura – dove furono uccisi tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, e  Stefano Recchioni, Raffaele Longo era presente, non si tirò indietro. Lo ricordo bene, a fronte alta e braccio teso, in piazza Preneste, seguire il corteo di Buontempo ed Alemanno  che scelse la strada più difficile e più rischiosa.  Da allora stringemmo una bella amicizia. Quando c’era da fare qualcosa lui mi chiamava e con la mia 126 andavamo. Poi in campagna elettorale era festa ogni giorno. Ogni sera un comizio in una piazza diversa. Senza paura. Senza titubanza. Senza pubblico. Spesso senza microfono. Un tricolore e via si parte. E spesso c’era da alzare le mani. Sempre c’era una bella birra fresca ad attenderci. Ogni palco era un teatro. Era gesto. Ammiccamento. Boutade. Colpo di scena. Commedia. Commedia pirandelliana… Raffaele credeva nella magia della parola.. Il “bel dire”. Proprio lui che certo (come Tringali) non aveva una dizione limpida detersa da accenti o cadenze. Non era importante. Si capiva che credeva alle cose che diceva. E per un giovane questo era tutto. Mi parlava e parlava e la sera andavamo a trovare Salvatore Tringali in una pizzeria di Giulianova. C’era anche “Geppetto” (purtroppo non ricordo il nome)  e ogni sera tanti giovani. Che belle serate.  Mi confidava alcune idee.  Mi colpiva lo sguardo, quegli occhi miti, tristi, freddi. Li ravvivavano di tanto in tanto guizzi di volpina ironia.  La battuta sagace di una mente sveglia. I capelli neri e non ancora radi, i baffetti da sparviero da viaggiatore di commercio, lo sguardo torvo e l’indice da j’accuse puntato contro tutti. E del resto noi eravamo contro tutti. Noi eravamo la “coscienza critica” è dunque eravamo contro. Noi eravamo i puri e dunque contro. Mi occorsero anni per capire quanto fosse vera la metafora del salmone che contro tutto e tutti risale la corrente per poi diventare sashimi negli “All you can eat” di un centro commerciale dal capitalismo mondiale . E comunque non rimpiango nulla di quegli anni. Così come Raffaele mi confermò un giorno, davanti alla piazza del Comune  di Roseto, che li ricordava sempre anche lui con (pacata) gioia anche se non amava ricordare.

Poi  mutò il clima politico. Nel 1990 diventò pesante, appiccicoso, tropicale. Noioso. Un vuoto. Tutt’intorno, il caos. Solo giochi di potere. Adunate più “fumose” che sediziose. In attesa della discesa in campo che spazzò via tutto. Ideali e persone perbene. Ora che Raffaele è tra gli angeli certamente sorride sornione. Poteva andare meglio ? Poteva andare peggio ? Raffaè hai creduto, hai lottato. E’ andata così. E va bene così. Una preghiera per te.