Non una singola faglia, ma un fascio di faglie che ha rivelato la grande complessità dei terremoti dell’Appennino, i dati dei satelliti diventati ormai indispensabili e, soprattutto, si è compreso che studiare i terremoti vuol dire far dialogare le diverse anime delle geoscienze, dalla geologia di terreno alla fisica, dalla matematica alla chimica: a dieci anni dalla notte che il 6 aprile 2009 ha sconvolto L’Aquila, queste sono fra le lezioni più importanti. I terremoti sono ancora “una sfida scientifica di prim’ordine e con ripercussioni sociali straordinarie”, ha detto il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Carlo Doglioni. Per questo, ha aggiunto, i terremoti “devono essere oggetto della massima attenzione, soprattutto nei periodi di pace in cui non avvengono, per trasformare le conoscenze raggiunte in prevenzione adeguata”. Dal 2009 la terra ha tremato molte altre volte in Italia, dall’Emilia nel 2012, fino alla drammatica sequenza di Amatrice-Norcia iniziata il 24 agosto 2016 e non ancora terminata del tutto: “ogni evento sismico è un esperimento che ci permette di studiare e capire molto della sua natura”, ha detto ancora Doglioni. “Dal 2009 a oggi – ha proseguito – centinaia di studi hanno arricchito le nostre conoscenze: si sono capiti meglio i meccanismi delle sorgenti sismiche; si è misurato con maggior precisione lo spostamento lungo le faglie; il ruolo dei fluidi è sempre più evidente e oramai sono diventate imprescindibili le informazioni di interferometria satellitare e geodesia spaziale che ci permettono di misurare con precisione i movimenti verticali e orizzontali del suolo a tetto e a letto delle faglie prima, durante e dopo un evento sismico”. E’ inoltre emerso chiaramente come “l’interdisciplinarietà scientifica sia diventata sempre più un’arma indispensabile ed efficace per lo studio dei terremoti”. Ci sono molti problemi aperti, “oggi non siamo in grado di prevedere i terremoti probabilmente perché non abbiamo ancora la chiave di lettura corretta di tutte le anomalie che la Terra manifesta: dobbiamo mettere insieme tutti i pezzi del puzzle”. E’ un tema delicato, sul quale si stanno confrontando scuole di pensiero diverse: c’è chi ritiene che sia un percorso inutile, chi invece pensa che a terremoti di tipo diverso debbano corrispondere segnali precursori differenti e che i terremoti richiedano una classificazione in funzione del tipo di energia che li genera; ci sono ricercatori che considerano come unici strumenti affidabili gli studi statistici basati principalmente sull’analisi dei terremoti passati. “Ricordo che in una riunione della Commissione Grandi Rischi, il fondatore della Protezione Civile Nazionale On. Giuseppe Zamberletti mi disse: ‘perché non studiate i precursori?’ Risposi che aveva perfettamente ragione e che sarebbe stato un obiettivo prioritario. Tuttavia al momento è difficile immaginare un precursore unico”. E’ necessario combinare dati sismologici, satellitari, geodetici, geologici e geochimici: è un lavoro lungo e complesso, ma è prioritario”. (ANSA).