TERAMO – Dieci rintocchi scanditi nel suggestivo silenzio di Piazza Orsini e Piazza Martiri: il Campanile del Duomo è tornato a rintoccare nel pomeriggio al termine della cerimonia di riconsegna della Torre Campanaria alla presenza di tutte le autorità militari, civili e religiose. Era presente anche il Governatore D’Abruzzo Marco Marsilio. Il Vescovo Mons. Lorenzo Leuzzi ha parlato di una città che si riappropria della sua storia e della sua fede. Il Sindaco D’Alberto ha invece ricordato la data simbolica scelta per legare Teramo, ancora una volta con una sottile linea rossa, a L’Aquila nel segno della rinascita e della ricostruzione: “Oggi è un giorno che definirei una finestra di festa in una triste giornata di un ricordo di una tragedia. Ma la vera festa questa città la vivrà solo quando l’ultimo dei nostri concittadini rientrerà nelle proprie case. Abbiamo bisogno di una ricostruzione materiale ma soprattutto morale”.

Il saluto del Sindaco per la riconsegna della Torre Campanaria del Duomo

Oggi pomeriggio non celebriamo un momento di festa ma apriamo le finestre su un appuntamento che, una volta completato l’intervento di recupero e riqualificazione definitiva del campanile, allora sì diverrà una autentica espressione di solennità e di soddisfazione collettiva, appunto una festa

Quando con sua eccellenza il Vescovo abbiamo deciso di organizzare una cerimonia alla quale invitare i nostri concittadini e i fedeli per la riconsegna della torre campanaria al termine dei lavori di messa sicurezza post-sisma, abbiamo individuato due aspetti. Il primo, appunto, la volontà di caratterizzare questo appuntamento come una anticipazione, un annuncio, dell’intervento che contenesse in sè il contestuale lancio di quello – più importante – di cui ho appena detto e che andremo a porre in essere; la seconda di individuare una data simbolica, che desse il senso di ogni cosa. Abbiamo perciò scelto proprio il 6 aprile, il giorno che dieci anni fa ha dato inizio a tutto e dal quale vogliamo tutti ripartire, per ricostruire non solo monumenti e palazzi ma soprattutto fierezza e fiducia. Quello odierno non può essere un giorno di festa ma non deve nemmeno diventare il giorno della resa, dell’arrendevolezza. Ripartiamo da questa stessa data, per ricostruire la nostra personale e collettiva speranza.

Il campanile che non potrà crollare è il simbolo della nostra Teramo che non si piegherà e anzi sta già ritrovando ragioni e modalità per tornare a risuonare della sua bellezza, della sua vitalità, della sua energia, della sua storia, della sua operosità. Esso è un presidio istituzionale e religioso, con la sua mole che esercita quasi un’azione di controllo, di vigilanza, di difesa della città. Il campanile sembra rappresentare il simbolo della protezione, dell’aiuto a ciascuno e alla nostra comunità e la sua riconsegna acquista pertanto un alto valore simbolico.

D’altronde la torre campanaria, che custodisce “lu cambanone” da secoli voce aprutina di avvenimenti quotidiani o speciali, e la Cattedrale, sono il simbolo più autentico di questa città e del territorio e come tali tutto ciò che li coinvolge deve essere sottolineato e assunto a valore esemplare.

Essere qui pertanto, oggi, è per noi tutti una promessa prima ancora che un traguardo, una promessa che germoglia in questo inizio di primavera e che, darà i frutti che attendiamo.

Il Comune ha appaltato e seguito i lavori di messa in sicurezza e ringraziamo l’impresa che li ha realizzati con efficienza e puntualità. Il vescovo e la Curia ci hanno affiancato con partecipazione rispettando con esemplare sensibilità le esigenze da noi rappresentate, connesse al sito in cui si è operato, nel cuore del cuore cittadino; una collocazione dalle innumerevoli implicazioni urbanistiche, storiche, affettive. Ne è emersa una collaborazione felicissima che è preludio ad una relazione operativa della quale la città e il territorio non potranno che fare tesoro.

È il segnale, questo, di come le istituzioni – quando animate da sincera e disinteressata volontà – possono e sanno cooperare, e manifestano una presenza consapevole, interpretano esigenze condivise, esprimono volontà comuni. Le istituzioni, già: non quelle agenzie distanti e impenetrabili dalle quali piovono decisioni e scelte ma quelle espressioni e rappresentanze del territorio che diventano interpreti del territorio stesso, capaci di leggerne le speranze, di far proprie le attese, di realizzare le prospettive.

In questo senso, allora, mi è caro ricordare che ancora molto c’è da fare per la ricostruzione. Molto, innanzitutto, per i concittadini che dopo tanti anni sono ancora fuori dalla proprie case, per i quali dobbiamo spendere tutte le nostre energie e far sì che rientrino al più presto; priorità assoluta, questa, del mio mandato. Sono certo che un momento di festa arriverà anche per loro e di questo traguardo gioiremo tutti, consapevoli come siamo delle difficoltà e dei disagi in cui versano da troppo tempo. Stiamo adoperandoci con ogni risorsa per raggiungere questo obiettivo, che non è solo una sacrosanta aspirazione privata ma che ci riguarda tutti, perché allontana il nostro territorio dal rischio dello spopolamento, dal pericolo dell’impoverimento, dal cancro dello smarrimento della sua storia e delle sue peculiarità sociali.

Insomma ricostruzione materiale e ricostruzione morale. Abbiamo bisogno dei luoghi privati e pubblici, ma abbiamo anche necessità della serenità, del benessere, della rinascita che andrà superata in quanto tale perché si è tornati nella normalità. Quella normalità del quotidiano che è scandita dalle ore della giornata operose e feconde, quella normalità che sa di affermarsi nello spazio condiviso, quella normalità che ha il conforto speciale ma pure ordinario dei nostri monumenti, delle nostre persone, della nostra bellissima città.

Rimando sua eccellenza il vescovo e tutti voi al giorno vero della festa, nel quale non ci affacceremo alla simbolica finestra di oggi ma saremo in piazza, insieme, tutti insieme.