La picconata si abbatté di fianco, proprio sul volto della ninfa che rappresentava una donna prosperosa, il petto nudo, dal quale sporgevano generosi i due seni. La seconda picconata colpì proprio uno dei due seni, ne sbriciolò una gran parte. Il monumento era incrostato di muschio secco e invaso da erbacce e sporcizia, trascurato ormai da tempo. Da quando, per l’esattezza, si era guastata la conduttura che riforniva d’acqua il monumento del Cavacchioli, la Fontana, per l’appunto, delle “Piccine”! Moriva così, a picconate, di fronte ad una folla allibita, uno dei monumenti tipici dell’arte teramana, la realizzazione più vistosa forse di un artista che ha segnato, insieme ad altri, un’epoca in cui l’arte nella nostra provincia era fiorente ed apprezzata.
Teramo “stuprata” a picconate potrebbe essere il titolo di un capitolo buio della nostra città che va all’incirca dagli anni venti a tutti gli anni sessanta, a cominciare dal “Due di Coppe” posto all’inizio di Corso San Giorgio abbattuto nel 1926 passando per la fontana dei “Fasci” di Piazza Garibaldi nel 1947, proseguendo per l’Arco del Teatro Romano abbattuto negli anni ’50, la Fontana delle Piccine di cui sopra abbattuta nel ’51, il Teatro Comunale nel ’59, l’Arco di Monsignore abbattuto nel ’68.
Ma è la Fontana delle Piccine il tema di queste poche righe, che lo scultore poliedrico Luigi Cavacchioli realizza nel 1882 e che una amministrazione poco attenta abbatterà neanche settant’anni dopo. Con riferimento al Cavacchioli, l’aggettivo poliedrico sta a sottolineare le sue doti artistiche che lo hanno portato a primeggiare nella scultura, nell’ebanisteria, nella pittura, nel plasmare opere artistiche in cemento o creta di cui molti reperti sono rimasti, come ci racconta nel suo saggio monografico, intitolato per l’appunto Luigi Cavacchioli, la ricercatrice e scrittrice Renata Ronchi. Con riferimento alla sua opera scomparsa, in nessun modo si può considerare minore perché realizzata in cemento o perché non ha riferimenti ad una cultura classica di rito, ma unicamente ad un concetto universalmente riconosciuto, che è quello della madre che allatta e dal cui seno sgorga la vita: “Fons vitae” fu infatti il titolo che l’autore diede al monumento, ribattezzato subito con la locuzione popolare “Fontana delle Piccine”, dove “Piccine” sta per mammelle, come spiega Giuseppe Savini nel suo poderoso saggio “La grammatica ed il lessico nel dialetto teramano”. Anzi, per questo motivo, e per l’utilità stessa della fontana da cui la gente attingeva l’acqua potabile con i secchi, come testimoniano vecchie fotografie, unica testimonianza rimasta dell’opera, insieme ad un quadro del pittore Salvatore Di Giuseppe realizzato nei primi anni del 1900, andrebbe considerata l’opera di maggiore utilità e gradimento di quegli anni. Si racconta anche che fosse un oggetto di rito scaramantico: era prassi che gli studenti, prima degli esami, toccassero le “piccine” come portafortuna!
Ma di chi erano quelle “Piccine”? Quale modella aveva posato per i bozzetti dell’opera? Si parla di una prosperosa donna americana, di origini teramane, che, tornata in Italia per passarvi qualche tempo, si ritrovò al centro della storia d’amore più segreta e più passionale allo stesso tempo del Cavacchioli. Quando a questi fu commissionata la realizzazione di una fontana pubblica sotto i cavalcavia di via Del Burro, la futura via Carducci, pensò subito di eternare le belle forme della donna in una vistosa scultura: una ninfa che sorge da una conchiglia e che, con il corpo sporto in avanti, offre con le proprie mammelle due generosi fiotti d’acqua!
È un mistero come il progetto del nudo passasse l’approvazione delle autorità, considerata l’epoca, e perché la bella americana decidesse poi di tornarsene oltremare, mettendo fine alla straordinaria storia d’amore che la vide così “artisticamente” coinvolta. Nella monografia della Ronchi, ben costruita e colma di notizie attinte dai giornali dell’epoca, il mistero non viene svelato, solo due righe ad accennare quella che fu certamente una grande passione. E quello che resta, di tutta questa storia, di una fontana, di un artista e di un amore, è solo il nulla. Ma anche il nulla non è per sempre: dura solo fino a quando un comitato non si costituisce, non si pone come fine la ricostruzione di un’opera che tanta popolarità ha avuto: la Fontana delle Piccine!
Pasquale Felix