Racconta quel giorno d’estate in tutte le scuole d’Italia. E quei proiettili te li senti tutti addosso. Racconta quel giorno sbagliato. Ogni giorno, ed ogni giorno il dolore si rinnova. L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, “perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore”. L’indifferente è complice.
E’ il messaggio che Pino Fazio sta portando in giro nelle scuole abruzzesi coinvolte nel progetto educativo del Premio Borsellino. “L’indifferente è complice dei misfatti peggiori”. Ripete con forza. Sono alcune parole della definizione d’autore riprese domenica dal Papa all’Angelus, nel suo messaggio contro la guerra in Ucraina. “Davanti a questa immane tragedia, a questa atrocità, non è ammissibile l’indifferenza ed è doverosa la memoria”. Fazio lo dice in modo chiaro: se a nessuno può essere chiesto di fare l’eroe, a tutti può essere chiesto di non girare la testa dall’altra parte di fronte a violenze, soprusi e vandalismi. Perché l’indifferenza è l’energia nascosta e, insieme, l’alleato silente del male. Violenti, vandali e malviventi cercano proprio questo: di imporre il silenzio e le loro regole, di anestetizzare ogni capacità o volontà di reazione. Certo: intervenire in determinate situazioni non è semplice né scontato. Talvolta è persino controproducente. Ma rassegnarsi all’indifferenza è ancora peggio.
E racconta quel giorno d’estate. Un giorno come tutti gli altri nel cuore della città vecchia di Bari. Ragazzini per strada sui motorini. Tutti senza casco. Donne con il grembiule e olio di gomito a lavorare la pasta fresca con le mani. Poco più in là qualche turista straniero ammira le fattezze del romanico pugliese che si staglia verso l’alto. La basilica di San Nicola. La chiesa di San Sabino. La pietra bianca della cattedrale sembra illuminarsi ancora di più quando c’è il sole. Ma subito l’eleganza dei vicoli lascia il posto all’odore del malaffare. In questa terra di bellezza e di mafia crescono piccoli criminali costretti troppo in fretta a sostituire i giocattoli con le armi. Spesso sono figli di madri che piangono in silenzio. Altre volte sono vittime innocenti che, in questo sporco gioco, non ci vogliono entrare. Michele Fazio è un ragazzo barese di quindici anni, pieno di vita e di entusiasmo, che una sera di luglio sta tornando a casa per cenare con la propria famiglia. All’improvviso viene strattonato; non ha il tempo di voltarsi indietro, sente degli spari, sono attimi: un proiettile gli perfora il cranio e lui cade riverso per terra. Qui il 12 luglio del 2001 colpi di pistola come schegge impazzite squarciarono il cuore di Bari vecchia: uno si conficcò nella nuca di Michele Fazio, mentre tornava a casa col sorriso e delle pizze portate a mano dopo aver lavorato al bar. Così è stato ucciso “per sbaglio” Michele Fazio, allora quindicenne, colpevole soltanto di trovarsi “per sbaglio” nel posto sbagliato al momento sbagliato. Vittima sacrificale di un colpo vagante nell’ ennesimo scontro tra i clan rivali Strisciuglio e Capriati. Manovali dell’uccisione del giovane Michele, due ragazzi, anche loro all’epoca giovanissimi. Tutti scappano, lasciandolo solo. Nell’aria si avverte, lancinante, un solo grido: “Aveme accise u uagnune buenn” (“Abbiamo ucciso il bravo ragazzo”). Michele aveva incontrato gli amici sul lungomare, ma aveva preferìto passare il resto della serata con la famiglia, col papà ferroviere spesso lontano, tornato in quei giorni.
A venti anni dal rumore delle pistole grazie ai genitori, Lella e Pinuccio Fazio, la storia spezzata di Michele e l’assurdità della sua morte innocente tornano a ricomporsi per diventare quella memoria collettiva di cui non solo Bari, ma ogni città che protegge i propri figli deve riappropriarsi: nella consapevolezza che occorre sempre volere, pretendere, provocare una giustizia e un impegno a volte troppo difficili per gli onesti. Ci voleva questo ennesimo fatto di sangue per risvegliare le coscienze dei baresi. Da quel momento Michele è diventato simbolo della rinascita. Oggi, a 21 anni dalla sua morte, istituzioni, associazioni e cittadini in tutta Italia ricordano le vittime innocenti della mafia.
Con mirabile forza i genitori, Lella e Pinuccio Fazio, hanno creato un’associazione a pochi passi dal luogo in cui per sbaglio la traiettoria del proiettile ha colpito Michele. Come a dire “noi da qui non ci muoviamo”. Animato dalla ferma consapevolezza che uniti si può abbattere il muro dell’omertà, Pinuccio Fazio è un instancabile promotore della legalità nelle scuole, nelle associazioni, nelle parrocchie di tutta Italia, da nord a sud. Il suo racconto si fa ogni giorno testimonianza.
Un vero fiume in piena. Non le manda a dire. Il problema non è la mafia. Il problema siamo noi quando sappiamo e non denunciamo. “Mio figlio non è stato ucciso soltanto dai proiettili di quei criminali, ma anche dal muro dell’omertà”. Non le manda a dire. Non dobbiamo parlare di legalità – questa parola la usano anche i mafiosi – ma di impegno. E il suo impegno è tirare fuori dalle mani dei criminali i più giovani il cui futuro è già segnato: il carcere o la morte. “Devo portare avanti la storia di mio figlio. Non ho paura. Lui mi dà la forza dal cielo. La mia è una missione e il coraggio me lo danno le scuole e i ragazzi che hanno deciso da che parte stare”. Non le manda a dire questo padre: “Non permettete mai alla mafia, alla criminalità organizzata di mettere le mani sulla vostra vita, non entrate mai in alcuna organizzazione delittuosa perché poi non c’è via d’uscita”.