TERAMO – La Fase 2 parte con questi due termini scolpiti nella mente delle persone che dovranno guardarsi dal trasgredire le disposizioni vigenti che inibiscono comportamenti, ritenuti del tutto leciti fino al 12 marzo di quest’anno.
Vogliamo, per un momento, però analizzarli questi due termini? Credo sia opportuno in quanto, come si dice, se una parola, anche se discutibile, viene ripetuta, poi nuovamente replicata, quindi ancora dichiarata, quella parola finisce per essere ritenuta indiscutibile, senza neppure che sia esaminata nel suo significato intrinseco.
Cominciamo con il termine “assembramento”: dovrebbe riguardare una moltitudine di persone che si caratterizza per essere confusa e disordinata, senza che abbia un fine prestabilito né una ragione nel suo essere “ammassata” .
Una medesima moltitudine che si riunisce per raggiungere uno scopo condiviso, va ovviamente denominata in modo diverso: ad esempio per esercitare il diritto di sciopero, per sostenere la propria squadra, per osservare un fenomeno atipico come una eclissi che potrà ripresentarsi nel firmamento dopo duecento anni e si vuole essere per questo presenti e partecipi.
A nessuno sfugge che questo termine ha una accezione deteriore e che, quindi, la moltitudine di per sé, finisce per essere percepita come “sconveniente”.
Ora nulla da eccepire se tale comportamento ritenuto inopportuno, è sospeso per un tempo prestabilito.
Però è bene considerare che, per quanto sottinteso, non abbiamo traccia di indicazioni che possano confortarci in tal senso.
Insomma, non credo sfugga a chi mi legge, che tale inibizione al diritto di “concentrazione” delle persone, suona anche come “democrazia sospesa”, come non praticabilità di un bisogno percepito, inalienabile, che è appunto il ritrovarsi insieme per vivere sensazioni che hanno poi l’effetto di una crescita emotiva, di sensibilità civica e di riconoscimento dell’altro come mio simile.
Passiamo a “distanziamento sociale”: dico subito che è una espressione che non mi piace. Mi sta bene “distanziamento fisico”, perché in effetti tale è e questo trova conferma nei “dischi” sagomati sui marciapiedi delle fermate della metropolitana con cui sono metricamente indicate le possibili collocazioni dei frequentatori di quei mezzi di trasporto.
“Distanziamento sociale” invece fa intendere che le persone “debbano guardarsi dalle altre” e questo aumenta un tasso di “atteggiamento difensivo” e di allerta dell’uno sull’altro. D’accordo che tutto questo viene fatto per evitare che possa tornare prepotente la trasmissione del contagio e che anzi questa è la sola ragione per cui sono messe in atto tali procedure.
Non possiamo d’altro canto prescindere che, attraverso simili accortezze, alla fine prendono forma altri “modelli comportamentali” che certamente non facilitano il clima della concordia, dell’empatia, della immedesimazione nella condizione in cui si trova l’altro.
Insomma, credo nell’auspicio di tutti che simili misure abbiano un carattere di eccezionalità e, quindi, di temporaneità. Impegniamoci davvero perché così sia e che non vada a germogliare una cultura della individualità e dell’arroccamento in sé stessi che non è propizio sia per il presente e tanto meno per il futuro.
di Ernesto Albanello