Ha ragione il Club Biancorosso, Presidente.
Basta, adesso, devi dirlo soprattutto tu, nel rispetto della tua persona e dei tuoi cari, di Ercole Cimini e dei suoi cari.
Lo devi nel rispetto di chi ti segue, a Francesco Quintiliani per ultimo, ieri presente al “Bonolis”: chissà cosa avrà pensato quando la Curva ti invitava ad andar via ancora prima che si consumasse l’ennesima sconfitta casalinga?
Si è chiuso un ciclo: bisogna avere la forza del prenderne atto e di dichiarare alla città, in maniera chiara ed inequivocabile, che sei pronto a farti completamente da parte, una volta per tutte, nei termini, nei tempi e nei modi che riterrai opportuni.
Non si deve più continuare a consumare quest’autentica “via crucis” quando si è nella condizione di poterla evitare, costi quel che costi. Non c’è più logica che tenga. Neanche l’orgoglio smisurato che è insito in te deve più accettarla; individua le condizioni migliori, ove possibile, per fare in modo che tutto ciò divenga realtà in poco tempo, anche in poche ore.
La stessa città o parte di essa, sempre più numerosa e rumorosa, saprà prenderne atto e, probabilmente, anche apprezzarlo.
Tu sai quanti alti e bassi abbiano contraddistinto la nostra, oramai, amicizia e, probabilmente, ricorderai quando, nel 2012, in un incontro privato, ti ricordai che il tuo predecessore era stato amato prima e “non amato” dopo. Forse non ricorderai che anche il predecessore del tuo predecessore, al quale oggi la città tende un tappeto rosso sul suo cammino, fu amato e successivamente invitato ad andar via. Il calcio è questo: era questo e questo è rimasto.
Nessuno, d’altronde, potrà cancellare la storia da te controfirmata annualmente, dal 2008 ad oggi: nessuno potrà farlo, né gli estimatori, né tantomeno i detrattori.
Credo sia giusto che Luciano ritrovi soprattutto la serenità giornaliera ed il gusto di andare allo stadio, anche da semplice tifoso.
Dimettiti, quindi: te lo chiedo da amico e sono certo che sia la cosa più giusta da fare e lascia spazio a chi volesse, eventualmente, prenderne l’eredità.
Walter Cori