TERAMO – Al via oggi, martedì 3 maggio, la XXX edizione del Maggio.Fest, la rassegna di arte e cultura organizzata da Spazio Tre Teatro con Silvio Araclio Direttore artistico. Alle 18, presso la Sala Ipogea di Teramo, si svolgerà l’incontro letterario con Marco Lodoli “Le sorprese. La letteratura rovescia la realtà”. Converserà con lo scrittore Maria Ida Gaeta, Filosofa del linguaggio.

Il secondo appuntamento della rassegna con il  “Maggio italiano – Cinema d’autore”, vedrà il ritorno a Teramo di Giuseppe Piccioni con il suo ultimo film “L’ombra del giorno”  (2022), che sarà proiettato giovedì 5 maggio alle 21 nella Sala1 del Multisala Smeraldo. Presenta in sala il regista, curatore Leonardo Persia. Ingresso libero.

“Il realismo minimo o medio – si legge nella presentazione dell’evento – la riduzione di vicende e personaggi, persino il contenimento della grammatica cinematografica caratterizzano i film italiani degli anni ’80. Complice la crisi del cinema e delle ideologie, lo sgretolarsi del pensare in grande (grandi storie, grandi argomenti, grande schermo), l’onnipotenza isterica della tv, che in quel decennio moltiplica l’offerta cinematografica e taglia irrispettosamente i formati. Prima degli attuali teleschermi piatti, il rettangolo divenuto quadrato costringe gli autori, soprattutto i nuovi, a restringere il quadro, diminuendo i totali, aumentando i primi piani (rendono meglio in tv), e poi ad auto-censurarsi, evitando i nudi o i temi scomodi (un film vietato ai minori non passa sul piccolo schermo, se non a tarda notte e tagliuzzato)”.

“Giuseppe Piccioni esordisce in piena ‘rivoluzione’ minimalista quando soprattutto il cinema italiano si è reso essenziale, circoscritto, chiuso in interni e, nei casi peggiori, proprio arreso, risultando ripiegato, ombelicale, impersonale. Senza più carne né sangue, sempre più privo di fisicità, di corpi, di desideri e di sesso. Eppure Il grande Blek (1987), sicuramente ascrivibile alle atmosfere minime e quotidiane del periodo di realizzazione, guarda al decennio precedente, ai sogni di una gioventù intenta a cambiare le cose, sia pure in maniera poco eclatante e oltranzista, e per giunta dalla provincia (Ascoli Piceno). Nostalgia, autobiografismo, entrambi in linea con i tempi? Anche. Ma il neo-autore rivela uno sguardo pieno, capace di trascendere le strutture correnti in un personale stile in levare, economo e pudico, sensibile e denso. Quanto più riduce, tanto meglio analizza. Per reinventare le linee di fuga, il senso di libertà, continuando a immaginare e sognare. Chiedi la luna (1991) è emblematico sin dal titolo. I titoli di Piccioni sono sempre rivelatori, si muovono, come il suo cinema, tra il fuori e il dentro, il giorno e la sera, la luce e l’ombra, all’interno di opposti subito pronti a fondersi, parimenti agli ambivalenti colori: verde, rosso e blu. Condannato a nozze (1993) sdoppia il protagonista (Sergio Rubini) e anche il regista, che sembra rinnegare la delicatezza dei film precedenti e soprattutto l’inerzia del cinema italiano corrente. Piccioni guarda e sente altro, nelle pieghe del suo cinema discreto dissemina dubbi, rimozioni e frustrazioni. Cuori al verde (1996) descrive la cupezza degli anni ’90, l’apocalisse di fine ‘900, presagendo le labirintiche fluidità identitarie a venire. Il film successivo ha il coraggio di essere Fuori dal mondo (1999), cioè proprio dentro, con tutta una serie di vicissitudini esistenziali, di derive di senso e angosciosi quesiti, che lo inseriscono in una problematicità e un turbamento ‘ristretti’ ma verticali, alla Krzysztof Kie?lowski. Pur con estremo riserbo, il regista osa pensare in grande, al cinema europeo, a quello dell’Est, a Hollywood, al meta-cinema. La vita che vorrei (2004) cita Karel Reisz e Margherita Gautier (1936) di Cukor (appariva pure nel film d’esordio), utilizza le forme ottocentesche del melodramma, confonde realtà e palcoscenico, esplora, come il successivo Giulia non esce la sera (2009), le prigioni, vere o mentali, in cui tutti siamo rimasti intrappolati. Il rosso e il blu (2012) delinea possibili vie d’uscita da tali prigioni, rimettendo al centro della vita le relazioni e le passioni, umane e culturali, trovando nella scuola, tanto reale quanto simbolica, la spinta a esistere, ri-esistere, resistere. Ugualmente simbolico il viaggio di Questi giorni (2016), romanzo collettivo di formazione tutto al femminile. Piccioni possiede una spiccata sensibilità nel delineare i ritratti di donne. Ha ottenuto il meglio dalle sue muse Margherita Buy e Sandra Ceccarelli. E adesso da Benedetta Porcaroli, l’Anna de L’ombra del giorno (2022), ulteriore personaggio memorabile, altra donna che ‘non esce la sera’, luce degli occhi di (non a caso) Luciano (Riccardo Scamarcio), uomo precipitato nel buio (fascista) più per apatia che per convinzione. È anche lui, suo malgrado, un cuore al verde senza la vita che avrebbe voluto. Quest’ultima, bellissima opera rinnova la densa essenzialità del suo autore: aggiunge l’eco a ogni disadorno dialogo; moltiplica, sottraendo, ogni possibile unità di luogo. Il risultato è un conciso e profondo affresco storico; una tesa e asciutta love story, capace, con laconica ricercatezza, di riverberare altre dissonanti storie d’amore, tra il miglior cinema classico italiano (Una giornata particolare) e la Hollywood bigger than life (Casablanca, Notorious, Le catene della colpa). Senza alcuna ridondanza o presunzione, o tantomeno il citazionismo stucchevole di tanta vuota cinefilia. Piccioni sa estendere e stringere, accorciare e dilatare. Con quella misura e quell’equilibrio magici che hanno solo i Maestri”. (Leonardo Persia)

Giuseppe Piccioni (Ascoli Piceno, 2 luglio 1953) è un regista e sceneggiatore italiano. Dopo la laurea in Sociologia all’Università degli Studi di Urbino e gli studi presso la Scuola di cinema Gaumont diretta da Renzo Rossellini jr., fonda nel 1985 la casa di produzione Vertigo Film assieme a Domenico Procacci, con la quale realizza nel 1987 il suo primo lungometraggio: Il grande Blek. Seguiranno altri undici film. Con Fuori dal mondo (1998), il suo quinto lungometraggio, vince ben cinque David di Donatello e numerosi altri premi in Italia e nel mondo. È persino nominato dall’Italia come candidato all’Oscar per il miglior film straniero. Ottimo direttore d’attori, fa esprimere al meglio gli interpreti dei suoi film. Al Festival del Cinema di Venezia, Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli si aggiudicano la prestigiosa Coppa Volpi come miglior attore e migliore attrice di Luce dei miei occhi (2012). Margherita Buy offre con Piccioni alcune delle sue migliori interpretazioni. Sempre con estrema sensibilità, il regista dirige inoltre Valerio Mastandrea, Valeria Golino, Sergio Rubini, Valeria Bruni Tedeschi, Asia Argento, Giulio Scarpati, Gene Gnocchi, Silvio Orlando, Roberto Citran, Galatea Renzi, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka, Riccardo Scamarcio, Silvia D’Amico, Filippo Timi, Marta Gastini, Laura Adriani, Benedetta Porcaroli. E il compianto Antonio Salines, che fa la sua ultima apparizione in L’ombra del giorno (2022), film alla cui memoria è dedicato. È tra i fondatori, nel 2005, della Libreria del Cinema di Roma. Nel 2016 è direttore artistico del Roma Fiction Fest e l’anno dopo è presidente della giuria di Venezia Classici all’interno della 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Del 2020 è la sua prima regia teatrale: Promenade de santé – Passeggiata di salute di Nicolas Bedos, prodotto da Marche Teatro, con Filippo Timi e Lucia Mascino

L’OMBRA DEL GIORNO (Italia, 2022) di Giuseppe Piccioni

Sc: Giuseppe Piccioni, Annick Emdin, Gualtiero Rosella – fotografia: Michele D’Attanasio – scg: Isabella Angelini – mo: Esmeralda Calabria – musica: Michele Braga – interpreti: Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Valeria Bilello, Lino Musella, Antonio Salines – dur: 125’

Sinossi: Ascoli Piceno, 1938. Luciano è il proprietario di un ristorante che si affaccia sulla piazza principale della città, reduce della Grande Guerra dalla quale ha riportato una gamba perpetuamente offesa e l’amara consapevolezza di saper uccidere, se necessario. Simpatizza blandamente per il Partito Fascista al potere, conta fra le sue frequentazioni un gerarca locale e osserva le parate delle giovani italiane dalla finestra del suo frequentato esercizio. Un giorno davanti a quelle finestre appare Anna, giovane donna che si offre di svolgere qualsiasi lavoro, e Luciano la assume come cameriera. Presto diventerà evidente che Anna ha qualità particolari: ha studiato, è capace e piena di iniziativa. E fra i due comincia a nascere un sentimento che va oltre l’apprezzamento del datore di lavoro, o la gratitudine di una neoassunta.

“La grande vetrata del ristorante (…) è il diaframma trasparente ma invalicabile tra Luciano e il mondo. Diaframma che può ricordare il palco di un teatro, ma soprattutto lo schermo televisivo di oggi, dietro al quale tanti, molti, troppi intendono nascondersi. Dietro il vetro negli anni Trenta c’è il buio del fascismo, la piccola media borghesia di provincia quale suo cupo serbatoio elettorale, e su pur piombato nella luce lo spettacolo coreografico delle Giovani Italiane, che danzano e pattinano in piazza in alma divisa, con la M del duce sul petto. Come accade ancora oggi, che dietro la tv in salotto c’è il cuore di tenebra del pianeta, pur innaffiato da spot luminosi e sgargianti, e balletti di retorica insopportabili. È dunque questa, l’ombra del giorno, ossia lo spazio pavimentato della grande piazza. Ascoli/Italia, lindo e assolato, con il suo formicolio di figure, che Luciano scruta nell’ombra della sala ristorante, protetto dalla grande vetrata, dove i segni della guerra in trincea su di lui, una gamba malconcia, si confondono tra la cucina e il servizio”. (Flavio De Bernardis, Micromega, marzo 2022)

“Giuseppe Piccioni torna a girare a Ascoli Piceno (il ristorante è il Caffé Meletti), la sua città laddove era ambientato il suo esordio, Il grande Blek, per un film che si confronta con la storia italiana attraverso il melò, e in una trama personale coglie il sentimento di un’epoca illuminandola con precisione grazie alla cura per i dettagli, per le sfumature che insieme formano una narrazione collettiva. È dunque una storia d’amore L’ombra del giorno che nasce tra i due protagonisti – Riccardo Scamarcio anche produttore con la sua Lebowski e Benedetta Porcaroli – a cui viene negata però la libertà di essere vissuta, soffocata tra le costrizioni del momento, il fascismo, la guerra, i silenzi obbligati, e tutto ciò che trasforma (potrebbe accadere in ogni situazione, anche oggi) qualcosa di «semplice» come appunto innamorarsi in una condizione impossibile. Su questa tensione lavora il regista – anche autore della sceneggiatura a insieme a Gualtiero Rosella, Annick Emdin, Marcella Libonati – trasferendo il mondo dentro al ristorante che nel suo microcosmo di clienti e impiegati si fa espressione del tempo, dei suoi conflitti, dei cambiamenti, delle attitudini di chi ne è parte. (…) Tra i tavoli assistiamo al progressivo affermarsi del consenso, alla crescita della paura, all’esaltazione dei più giovani, quelli che si sono visti crescere, all’arroganza dei gerarchi in carriera (bravissimo Lino Musella), mentre lui, Luciano, pian piano inizia a spostare i suoi occhi, a guardare in modo strabico quelle immagini che gli sembravano belle, scorgendone invece col sentimento che lo lega alla ragazza le atrocità. Un film che per il regista è anche una scommessa, con cui ritrovare la propria poetica dei sentimenti e reinventarla nel confronto con una memoria resa attuale e vivida”. (Cristina Piccino, Il Manifesto, 24 febbraio 2022)