È curiosa questa intransigenza di larga parte del mondo che si definisce liberale verso chi senza compromessi si professa pacifista, o “artigiano della pace”, e vuole riflettere criticamente sul conflitto e le parti in causa, con ben chiare in testa le (inequivocabili) responsabilità politiche ed economiche, etiche e morali della guerra. Io credo che la pace sia un valore assoluto, va ricercata senza se e senza ma. Spesso però legati alla parola pace ci sono l’ignavia, la codardia, l’amico del nemico. C’è questo monocolore ormai che, o sei per la guerra o sei un traditore. La parola pace è più impegnativa, complessa. Mi stupisco di chi si dice per la pace ma poi sostiene che però la guerra “quando ci vuole, ci vuole”. Un po’ come “non sono razzista ma”. È la stessa cosa. È proprio quando c’è la guerra che bisogna costruire la pace. A fare la pace alla festa del battesimo del figlio siamo tutti bravi. Nel momento in cui c’è la guerra bisogna capire qual è la strada della pace, se ci crediamo ancora che la pace è un valore assoluto. O strizziamo l’occhio alla guerra?
Il senso comune è che Vladimir Putin abbia catastroficamente calcolato male le sue forze” prima di attaccare. E se invece non fosse così? Putin “pensava che gli ucraini di lingua russa avrebbero accolto le sue truppe a braccia aperte. E invece non l’hanno fatto. Pensava che avrebbero rapidamente deposto il governo di Volodymyr Zelensky. E invece non l’hanno fatto. Pensava di dividere la Nato. È invece l’ha compattata. Pensava di aver reso la sua economia a prova di sanzioni. E invece l’ha mandata a rotoli. Pensava che i cinesi lo avrebbero aiutato. E invece stanno evitando di esporsi. Pensava che il suo esercito moderno avrebbe fatto carne trita delle forze ucraine. Sono invece gli ucraini a farlo. Fino a qui la lettura di “senso comune”, appunto. Ma se fosse sbagliata? E se l’Occidente stesse ancora una volta facendo il gioco di Putin? Quando gli analisti militari occidentali sostengono che Putin non può vincere militarmente in Ucraina, quello che vogliono dire veramente è che non può vincere giocando pulito. Ma quando mai Putin ha giocato pulito? E allora cosa c’è dietro questa guerra. E tutte le guerre? E quanto vogliamo continuare con questa logica? Dove non vince nessuno e perdono tutti.
Questa logica manichea, che è quasi fideistica, è costitutiva di una narrazione per cui: o continuiamo a mandare le armi all’Ucraina o non solo si sottoscrive la distruzione di un paese e della sua gente: È la logica della guerra, di tutte le guerre. La guerra spacca le vite, dilania i corpi ma anche i cuori, crea odio, ovunque. Con questo stile di discutere della guerra come se fosse il calcio, con un tifo da stadio, con un’informazione che se non è allineata diventa traditrice. Questo crea una mentalità difficile da sconfiggere, per cui tu sei un traditore e non uno con cui ragionare. E invece proprio adesso credo si debba non giustificare ma capire, capire cosa sta succedendo e come ne possiamo uscire. Ne possiamo uscire vendendo o addirittura regalando armi? Stupisce che siano i generali i più critici di fronte a questa scelta, e loro se ne intendono di guerra. Ma non è la democrazia in Ucraina a rischio, è la vita del mondo, è la terza guerra mondiale con il coinvolgimento nucleare. E allora non si può ragionare con il tifo da stadio, la pace è una cosa seria. L’informazione invece si fa intrattenimento spesso morboso, spettacolarizzazione. E tutto questo genera numeri, audience, dall’inizio della guerra sono aumentati gli abbonamenti digitali agli organi di informazione. Sembra che la guerra faccia comodo su molti fronti.
La morbosità del vedere fa audience, un missile che cade, una persona morta per terra. Questo non è giornalismo. Qui siamo schierati contro i russi e va bene, perché la guerra fa fare anche un po’ di carriera
È evidente (e pericolosa) una doppia morale sulla guerra, sui rifugiati, sulla solidarietà, sulla disponibilità all’accoglienza. La disponibilità di tanta gente ad accogliere è un fatto positivo, credo sia una cosa davvero molto bella. Questo è un aspetto positivo da valorizzare. L’altro aspetto, soprattutto a livello di istituzioni, è che rischiamo un razzismo di accoglienza. Chi scappa dalla tragedia dell’Ucraina ha tutto il diritto di avere un pulmino che li carica e li porta qui. Anche quelli che scappano dalla Siria o dall’Afghanistan però, che sono dietro a un muro di filo spinato e scappano da guerre alimentate anche da noi. Adesso è tutto aperto, nel giro di pochi giorni ci sono documenti, regolarizzazione, medico, inserimento a scuola, e sono contentissimo che venga fatto con gli ucraini, ma ci sono tanti altri che aspettano due anni l’appuntamento in questura. Sono forse figli di un dio minore? Dobbiamo ricordare che ci sono tante altre guerre, anche dimenticate. Lo Yemen ? La Turchia che sta bombardando il Kurdistan ma pare non freghi niente a nessuno: i curdi forse valgono di meno? Gli iracheni? I siriani? Perché non cogliere l’occasione per dire che tutte le guerre sono brutte e tutti i rifugiati hanno la stessa dignità? Forse perché da sempre la prima vittima della guerra è la verità. Prima c’erano i bollettini, ora possiamo vedere in diretta un presidente sotto attacco. È chiaro che poi c’è una regia di propaganda, perché la propaganda è fondamentale. Ricordo il vescovo ausiliare di Sarajevo durante la guerra, Pero Sudar, lo diceva 30 anni fa: la guerra diventa uno spettacolo che fa vendere un prodotto – prima il Covid, poi Sanremo, adesso la guerra – dall’altra parte la propaganda è micidiale.
Ricordo che chi era contro la guerra in Iraq era definito amico di Saddam. Quando serviva, Saddam pagava ed era un caro amico. Quando però dicevi che non era giusto bombardare perché la guerra è sbagliata, ecco allora sei amico di Saddam. Forse il ragionare, cosa ormai diventata faticosa, può essere la premessa per la pace, e se si vuole la pace bisognerà sedersi a un tavolo, perché è sempre stato così. Oppure vogliamo i morti perché fanno peso nelle trattative? Quando allora ce ne saranno centinaia di migliaia bisognerà dire adesso ci fermiamo. Ma qual è il livello di tolleranza oltre il quale poi si dice “adesso dobbiamo ragionare”?