Si chiama Remo Gaspari e il suo Abruzzo – Per conoscere, per capire, per non dimenticare  l’evento organizzato dall’avvocato Pierangelo Guidobaldi & co,  per ricordare l’illustre politico abruzzese, a dieci anni dalla sua scomparsa, e a 100 dalla nascita. Saranno in tanti – dall’ex ministro Cirino Pomicino al figlio Lucio Gaspari, da Paolo Tancredi a Nino Germano  – a ricordarlo giovedi 8 luglio, alle 18,00, sulla terrazza del kursaal di Giulianova. Saranno in tanti, ma io non sono stato invitato. Strano, le iniziative dell’avvocato Guidobaldi sono sempre di eccelsa qualità, perchè non invitarmi ?

Secondo gli organizzatori, “non è una operazione di archeologia politica o di nostalgia”, ma qualcosa che serve per capire perché  là democrazia era più sentita e perché la gente partecipava di più, e dunque trovare lo spunto per ripartire in maniera decisa per andare avanti.

“Zio Remo”, riceveva anche sotto l’ombrellone, sulla spiaggia di un hotel di Vasto, dove andava in vacanza. Per lui le opposizioni coniarono il termine “Gasparismo“.  Voleva fare solo l’avvocato; invece fu parlamentare per nove legislature (dal 1953 al 1992), facendo parte della corrente del “grande centro doroteo”. Fu molte volte sottosegretario e per ben sedici volte ministro (secondo solo ad Andreotti) con una lunghissima avventura umana e istituzionale.  Certamente il notevole contributo dato allo sviluppo dell’Abruzzo gli viene riconosciuto unanimemente da tutte le forze politiche. Certamente  fu uno dei protagonisti del boom economico vissuto dall’Abruzzo tra gli anni ’70 e ’80. E fu lui stesso a dichiarare che, quando era al Governo, cercava di portare in Abruzzo tutte le industrie che gli capitassero a tiro, un atteggiamento che, ne era convinto, determinò la crescita di questa regione poi uscita dall’Obiettivo 1 dell’Ue.

Io non sono stato invitato a portare la mia testimonianza. Eppure, avrei avuto molto da dire , essendo la persona che nel 1991 – come segretario regionale del movimento “La Rete” di Leoluca Orlando –  denunciò e dette avvio all’inchiesta sui “voli blu”  del pm Fabrizio Tragnone – il ”Di Pietro d’Abruzzo” – che richiese l’autorizzazione a procedere della Camera accusando Gaspari di  peculato d’uso per aver usato un elicottero dei vigili del fuoco di Pescara  per spostamenti non legati al mandato di ministro e,  nello specifico per andare a vedere la partita della Roma. Il volo ci fu, il processo anche, ma Gaspari fu assolto.

Avrei avuto molto da dire sull’uomo che, più di ogni altro, ha determinato la storia recente d’Abruzzo. Sui  corsi e ricorsi storici di vichiana memoria. Sui “cui prodest” dietro le scelte di Gaspari.  Su quel famoso “Ci pensa Giorgio”  il modo con cui Gaspari rispondeva ai questuanti. Sul modo in cui Giorgio, alias Remo Gaspari, alimentava il potere con il consenso popolare e stroncando ogni forma di dissenso interno alla Democrazia cristiana.

Avrei avuto molto da dire sul pluriministro. Senza aneddotica, né demonizzando o esaltando il personaggio che ha traghettato l’Abruzzo fuori dalla povertà del dopo guerra. Ma che, non colse o non volle cogliere il volgere dei tempi, autocondannando alla fine il gasparismo. E’ vero , Gaspari non venne mai coinvolto in tangentopoli. Ci furono tanti peccati nel “Gasparismo”,  trasferimenti di amici, parenti, questuanti; concorsi farsa, in una giostra di figuranti che occuparono posti senza merito. Come oggi . Ci fu una piaggeria esagerata nei gangli del gasparismo. Ci fu una monarchia assoluta con vicerè, duchi, conti, vassalli e valvassori nominati secondo la scala di amicizia con il monarca. Certo ci fu consenso. Che si basava sulla conoscenza diffusa, fino al più umile degli abruzzesi, che permetteva di drenare voti in quantità industriale. E quel mezzo per raggiungerlo: la raccomandazione oppure, come – in modo garbato- gli chiedevano “la segnalazione”. Gaspari giocava con un modulo  alla Mancini, il 4-3-3: quattro raccomandati andavano al partito, tre agli alleati e due all’opposizione. La raccomandazione di cui era il re ma che, alla fine , gli creò sensi di colpa.  “Zio Remo”, proprio in quella fase della vita in cui i bilanci valgono più di ogni cosa, avvertì e dichiarò  di essersi macchiato di “culpa in vigilando”. Cioè di aver applicato le regole della sua politica senza stare attento ai mariuoli, scovati  anche in Abruzzo da Mani pulite, agli incapaci che prendevano il potere, o ai furbetti che rovinarono comunità, imprese, territori.

Peccato non essere stato invitato: allora  dico in queste poche righe ciò che avrei detto . Se fossi un politico non parteciperei a una tale iniziativa.  Un durissimo atto di accusa contro l’attuale classe politica abruzzese. Come siamo ridotti? Davvero male: ci tocca pure rimpiangere Remo Gaspari. Un ricordo che diventa un pesante atto d’accusa, spietato, per i nostri politici di oggi: che cosa sono mai diventati se al confronto persino “zio Remo” diventa un esempio di pulizia, gestione “all’americana” e soprattutto anticasta ?

Certo, lo so bene, mica vivo in Papuasia: Zio Remo era fortissimo nel riempire le Poste di nostri concittadini, gli ospedali, i comuni.  Andava bene a chi era suo amico, anche se incapace. E a chi non lo era. A chi aveva capacità e merito e veniva escluso dai concorsi ?? Certo, lo so bene, Gaspari viveva in modo semplice e andava in vacanza alla pensione Sabrina di Vasto mangiando rigatoni, pecorino e uova sode. Però diciamocelo – anche con bonomia – è anche vero che è stato uno dei principi del clientelismo, un re della raccomandazione, uno di quei rappresentanti della Dc che – come Andreotti, Forlani, De Mita, Gava — ha contribuito a creare, grazie a comportamenti scellerati, il gran debito pubblico che ci grava sulle spalle e ci costa ancora oggi così caro. Magari, ecco, mangiava davvero uova sode. Però il risultato, per restare in tema, non è stato per nulla sodo e nemmeno alla coque. Anzi, a dirla tutta, è stata una bella frittata.

Per carità, si deve rispetto a tutti i morti e zio Remo, per altro, fece del gran bene a quei cittadini che votavano per lui. Come dimenticare ? Fece costruire nel suo paese, Gissi, sul cucuzzolo di una montagna, una piscina olimpionica e un ospedale da 180 posti letto (un po’ troppi per Gissi?). Si vantava anche di aver  “cambiato il clima”, facendo diventare nella sua terra l’inverno meno freddo e l’estate meno calda. Uomo di potere, si capisce. Ci si dimentica di ricordare, però, che tutte queste belle iniziative del potere non erano gratis: passavano per la Cassa del Mezzogiorno, un giochetto che in cinquant’anni è costato al contribuente italiano 759mila miliardi di vecchie lire. Soldi spesso buttati, spese spesso inutili, per lo più senza ritorno, o meglio utili solo a portar voti ai politici del luogo. Non a caso Gaspari era molto amato dalla sua gente: andava a inaugurare fabbriche. Che dopo un anno chiudevano lasciando tutti in cassa integrazione e con qualche imprenditore in fuga. Fu famosa l’inchiesta di Antonio Stella sui ponti che rimanevano abbandonati e sospesi sul nulla. Intanto alla fine nessuno rimaneva abbandonato: si andava tutti in coda alla pensione Sabrina e fra una fetta di pecorino e una passeggiata in spiaggia non era difficile trovare una raccomandazione per entrare alle Poste. Evviva.

Non vorrei mancare di rispetto allo zio Remo. Ma non sarà che  è solo grazie al confronto con la squallida realtà odierna della politica che ottiene il suo insperato riscatto? E se questo è il trend, che ci aspetta ancora nel prossimo futuro? Andremo in pellegrinaggio sulla tomba del condannato Andreotti  l’uomo  “associato a  Cosa Nostra”.